Sono giornate di celebrazioni, elogi e omaggi. Anche il Presidente della Repubblica ha voluto ricordare la figura di Don Milani, il prete scomodo, l’educatore e maestro, fondatore della scuola di Barbiana, rimasto nella memoria collettiva come colui che, in un contesto difficile, di degrado socio-culturale, in un momento storico in cui la scuola era riservata ai figli dei benestanti, affermò che la scuola è di tutti, la scuola deve essere per tutti, come ha voluto sottolineare il Presidente Mattarella nel suo discorso.
Tuttavia, al coro di consensi si sottrae Marcello Veneziani, giornalista e intellettuale di spicco della destra italiana che – com’è giusto che accada in un Paese democratico e plurale – non ci sta alla “beatificazione” di Don Milani e lo scrive in un articolo dal titolo chiaro e netto: La nociva utopia di Don Milani.
https://www.marcelloveneziani.com/articoli/la-nociva-utopia-di-don-milani/
Questa, in estrema sintesi, la sua tesi: La scuola di oggi che onora don Milani e non certo il modello della scuola di Gentile, fa assai più schifo della scuola di allora; non premia i meriti e le capacità, non educa, non stimola alla cultura e non suscita spirito di missione nei docenti; non produce affatto alunni più liberi ed uguali.
Tutto ciò perché, a giudizio di Veneziani, parole come “merito” e “selezione” erano avversate da Don Milani e dai suoi ragazzi, considerate come orripilanti strumenti della borghesia atte a tenere alla larga dalla scuola i figli dei contadini e, più in generale, di tutti i diseredati dalla società. Al contrario, Veneziani valorizza queste due parole raccontando la storia di alcuni suoi professori del liceo, per i quali la selezione dei più bravi aveva permesso il loro riscatto, la loro affermazione. Ogni selezione per lui (per Don Milani, ndr) era classista ma se non premi i più capaci e meritevoli, alla fine azzeri la scuola. E i più fortunati, in assenza di meritocrazia, sono i figli di papà, che dispongono di più mezzi, più conoscenze, più aiuti. La meritocrazia è l’unica arma di chi non ha protettori.
L’articolo è lungo e corredato da molte citazioni tratte da Lettera a una professoressa, che per Veneziani diventa una sorta di libretto rosso dei docenti sessantottini italiani, per lui matrice e fonte di ogni stortura oggi presente nel nostro sistema scolastico: L’involontario effetto del milanismo fu, come scrisse Sebastiano Vassalli su la Repubblica la fuga dalle scuole pubbliche in quelle private; don Milani cominciò a buttare via i libri «e i suoi seguaci sessantottini buttarono via tutto il resto».
Insomma, uno “schiaffo” al Don Milani da santino che la stragrande maggiorana degli italiani ha nella mente e nel cuore.
Non entriamo nel merito della questione, lasciamo perdere il Don Milani profeta del “ne ho cura” e del “non uno di meno”. Ricordiamo soltanto – non sottovoce ma con forza – che non è affatto vero che la scuola pubblica di oggi non premi i meriti dei suoi studenti. Premia, al contrario, i meriti di tutti: ricchi e poveri, abitanti del centro e delle periferie urbane, figli di ricchi professionisti e imprenditori e figli di operai e disoccupati, che siano italiani o in attesa di diventarlo. E non è vero che la scuola di oggi fa assai più schifo della scuola di Gentile, come sostiene Veneziani. Lo dimostrano un paio di dichiarazioni del ministro-filosofo dell’epoca: “La limitazione delle iscrizioni è propria delle scuole di cultura e risponde alla necessità di mantenere alto il livello di dette scuole chiudendole ai deboli e agli incapaci”. O anche, se non basta la prima, “Alla folla che guasta la scuola classica lo Stato deve assegnare non mezzi di dare comunque la scalata alle università, ma scuole tecniche e commerciali svariate, le quali […] non devono dare adito alle università mai”.
Quale dei due modelli – l’esclusivo gentiliano e l’inclusivo per il quale tifiamo – fa più schifo?
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