La Scuola attende trepidante i nomi di ministro e sottosegretari che siederanno sugli scranni di Viale Trastevere. Avverrà una svolta nella politica scolastica? I problemi sono annosi, incancreniti da 40 anni di tagli economici al budget della Scuola e 30 di scelte neoliberistiche, che hanno impiegatizzato il personale, aziendalizzato le scuole, svalutato i “saperi” a vantaggio delle “competenze”. I risultati, evidenti, hanno fatto perdere alla Scuola italiana molte posizioni nelle classifiche internazionali. Urge la domanda: erano giuste le scelte operate?
Tuttavia, se si riconosce che le scelte erano errate, è opportuno (e sufficiente) fare macchina indietro? Certo che no. Il danno ormai è fatto, ed alcuni suoi esiti risultano difficilmente reversibili. Occorre però ammettere che la strada imboccata è senza uscita, e trovarne di nuove, discernendo tra opzioni superate dai tempi e possibilità ancora attuali. Un po’ come si fa quando si vuol ricostruire dopo un terremoto.
Fin dalla primaria, occorre ripartire da ciò che sappiamo circa l’evoluzione dei piccoli in relazione all’età. Bimbe e bimbi tra sei e otto anni hanno caratteristiche e bisogni differenti rispetto a quelli tra gli otto e gli undici. A sei anni un bambino scopre il mondo e acquisisce le basi della propria autonomia. Va quindi lodato per il suo comportamento e per il suo impegno — a prescindere dalle sue doti e dai suoi talenti — infondendogli la certezza che sbagliando s’impara. Va incoraggiato ad attività di gruppo, sport di squadra, attività di volontariato, per fortificarne la socialità. Dal punto di vista didattico, è questo il momento di insegnargli a leggere, ad esplorare l’ambiente, a scrivere, a misurare, a contare: abilità che fondamentano tutte le altre.
Bisogna quindi distinguere un primo ciclo della scuola primaria (prima e seconda classe) dal secondo ciclo (terza, quarta e quinta), in cui i bambini richiedono attenzioni differenti, perché divengono sempre più autonomi. Molti bimbi di otto-undici anni tornano ogni giorno a casa da scuola prima del ritorno dei genitori dal lavoro: i quali spesso non sanno stabilire regole chiare di comportamento domestico, nemmeno in loro presenza. Al contempo, la capacità di attenzione di questi bambini aumenta: va dunque coltivata e incanalata, per aiutarli a crescere in modo corretto. È questo il momento di fare ordine nelle loro menti, aumentando il peso della distinzione del sapere umano in discipline, autonome ma interrelate, per fornire ai futuri cittadini i primi strumenti di analisi approfondita del reale.
Tra gli strumenti di analisi del reale, non può esservi posto per un’ora di religione cattolica presentata come disciplina pari alle altre. Se non vogliamo che il nostro assomigli ad uno Stato confessionale, le religioni vanno studiate, tutte, da un punto di vista obiettivo, razionale, scientifico. La fede, patrimonio spirituale irrinunciabile del genere umano, è scelta privata dell’individuo che non può essere imposta (come la Storia insegna), né sponsorizzata da uno Stato democratico. L’ora di religione cattolica va trasformata in storia delle religioni, da insegnarsi per una sola ora settimanale in ogni ordine e grado scolastico. Previa — ovviamente — la revisione del Concordato con la Santa Sede.
La Scuola non deve abbandonarsi a mode pseudopedagogiche sperimentali, che affascinano solo perché ammantate di suggestivi nomi anglosassoni. I princìpi pedagogici che informano la Scuola devono basarsi su concezioni dal valore ormai universalmente riconosciuto a livello mondiale: da quelle di Friedrich Wilhelm August Fröbel quelle delle sorelle Rosa e Carolina Agazzi, fino alla rivoluzione pedagogica rappresentata dal lavoro e dalle idee di Maria Tecla Artemisia Montessori.
La relazione educativa tra discente e docente non va interrotta, ma potenziata e protetta. Certificazioni, burocrazia, standardizzazione di metodi e mezzi servono solo a nascondere e camuffare questa evidenza lapalissiana. Nessun discente può “imparare da sé”, come la moda imporrebbe, tantomeno con “ambienti innovativi di apprendimento”, la cui innovatività è contraddetta dalla confusione che regna sovrana nelle menti degli adolescenti di oggi. L’impreparazione di molti nostri studenti prossimi al diploma — radicatasi dopo anni e anni di scuola “innovativa” e di svalutazione dell’autorevolezza del docente — rasenta ormai l’analfabetismo (come ben sa chi insegna — o meglio, vorrebbe poter insegnare — italiano, lingua straniera, matematica). Andrebbero semmai indagate le motivazioni economiche di simili “novità”. Il rapporto tra giovane e adulto, tra discepolo e maestro (che sa e guida) è insostituibile, lo è sempre stato e sempre lo sarà. Fino a prova contraria.
Come rendere i docenti figure nuovamente autorevoli, utili ai discenti per questa loro autorevolezza? Permettendo loro la libertà d’insegnare secondo coscienza, non sottoposti ad una “pedagogia di Stato” (che è oggi quella anglobalizzata del neoliberismo aziendale). Per questo i prèsidi non devono essere dirigenti-burocrati scelti dal ministero (ossia dal potere partitico) ma primi inter pares, eletti ogni triennio dal Collegio dei docenti fra gli insegnanti che siano in ruolo da almeno cinque anni, e che abbiano conseguito un titolo postuniversitario finalizzato alla presidenza. Eresia per le orecchie di chi ha reso la Scuola quel che è adesso? Certamente. D’altronde — direbbe don Luigi Ciotti — «eretico è chi si ribella al sonno delle coscienze».
Con la DGR n. 1189 del 15/10/2024 sono stati approvati l'Avviso e la Direttiva per la…
Oggi, 22 novembre, si celebra la Giornata nazionale per la sicurezza nelle scuole. Il Dossier scuola,…
La cantante Noemi, al secolo Veronica Scopelliti, classe 1982, ha rilasciato una lunga intervista a…
Per l’80% degli italiani, la violenza di genere è un’emergenza che richiede un intervento immediato.…
La sede del Ministero dell'Istruzione e del Merito in viale Trastevere a Roma è stata…
Nuove segnalazioni arrivano dal Salento, dopo i recenti episodi di scabbia registrati nel carcere di…