Si parla spesso di disagio generazionale. Il quotidiano La Repubblica ha intercettato le sensazioni di alcuni studenti alle prese con problemi psicologici che spesso emergono proprio tra i banchi di scuola, tra rapporti con docenti, studenti e genitori. Gli stessi insegnanti hanno espresso la loro opinione e hanno spiegato quali sono i loro problemi.
“Da anni faccio psicoterapia e questo mi ha salvato. Ma basta affacciarsi nei bagni del mio liceo per vedere crisi di pianto e attacchi di panico. C’è chi non vuole più entrare in classe, ragazze che mangiano e vomitano, a tanti, troppi, vengono prescritti psicofarmaci. I prof ci mettono addosso un’ansia assurda, instaurano un regime di terrore: come se da un brutto voto dipendesse il nostro futuro”, ha detto un alunno adolescente.
“La situazione è grave. Ho amici che non escono più dalle loro camere, altri hanno mollato lo studio. Ma per avere un colloquio con lo psicologo scolastico ci vogliono due mesi di attesa. Nessuno ci ascolta, siamo soli”, ha fatto eco un’altra.
“Noi siamo fortunati, abbiamo molte ore di sportello psicologico. Credo che il malessere o il benessere in una classe dipendano dal carattere dei prof. Ne avevo una, terribile, si divertiva a umiliare chi andava male, ma ho incontrato anche docenti empatici e comprensivi. Siamo una generazione esigente, non ci bastano le competenze, vogliamo essere compresi come esseri umani, vorremmo che gli insegnanti fossero anche una guida. Lo sanno quante differenze sociali ci sono tra di noi, tra chi può prendere ripetizioni e chi no? Un mio compagno veniva da una famiglia difficile, è stato bocciato due volte, nessuno a scuola ha cercato di capire quali fossero i suoi problemi e lui, alla fine, ha abbandonato gli studi. Non vi sembra una sconfitta questa?”, questo il lamento di un’altra.
Ecco il pensiero di un altro studente: “La scuola? Oggi fa più male che bene. Anche io ho avuto crisi di panico, bisogna passare notti a studiare per ottenere anche la semplice sufficienza, la richiesta è inutilmente alta, nozionistica e slegata dalle reali necessità della vita. Dicono che siamo viziati ma si rendono conto del mondo in cui ci siamo ritrovati a vivere? I prof vedono soltanto il programma, noi vorremmo che fossero educatori. Nel mio liceo c’è un solo psicologo per 1300 ragazzi, un sacco di giovani prendono psicofarmaci e qual è risposta del governo? Scuola del merito e manganelli alle manifestazioni”.
Ed ecco cosa dicono gli insegnanti. “Fare l’insegnante senza avere le capacità di entrare in empatia con loro oggi è impossibile”, ha detto una docente di latino e greco. “Chi ci prova dà l’anima e ci riesce ma con sempre più fatica, talvolta in solitudine, sommerso dalla burocrazia. Ma tanti di noi entrano in aula già sconfitti e frustrati. Dicono che non li capiamo ma dipende anche da che insegnante scegli di essere. Non siamo psicologi, animatori, amici. Dobbiamo metterci in gioco come educatori”.
“Siamo sommersi da certificati di qualsiasi tipo, pressati da genitori che ci chiamano: non interrogate mio figlio o ha fatto solo una bravata”, ha aggiunto un’altra insegnante. “Assecondo le loro fragilità, ma non è il loro bene. Leggo la metà dei testi degli autori che leggevo anni fa, spiego tutto perché non sanno il significato di parole come prodigo, plausibile, vulnerabile. Dopo una pagina c’è già chi alza la mano: prof, mi sono persa”. “Sono terrorizzati dal giudizio degli altri, crescono nella deresponsabilizzazione totale. Per qualcuno è la prima volta in un museo, in un tema mi sono ritrovata TikTok citato come fonte. Arrivano alle 8 storditi, alle 12 sono già sdraiati sui banchi, non è raro chi si addormenta. Ogni 5 anni abbasso i ritmi di lavoro e il livello, con la prima sono ancora ai greci. La scuola è in affanno, e noi ci barcameniamo”, ha raccontato un’altra studentessa.
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