Forse l’esito delle ultime elezioni politiche è suonato come un liberi tutti alle orecchie di tanti nostalgici repressi. Anche a scuola. A gennaio per esempio un docente ha interrotto con urla polemiche uno spettacolo teatrale ispirato alla figura di Goebbels rivolto alla sua stessa scolaresca. In questo mese di aprile invece una maestra ha incitato gli alunni alla preghiera e alla fabbricazione di rosari in classe durante le ore di lezione.
Il povero ministro ogni volta deve correre ai ripari per non lasciare adito a sospetti di connivenza. “Il negazionismo dell’Olocausto è assolutamente incompatibile con qualsiasi ruolopubblico, ancor peggio nei luoghi deputati all’educazione dei giovani”, ha subito dichiarato nel primo caso. E nel secondo caso: “Anziché insegnare storia, geografia, matematica l’insegnante avrebbe fatto cantare inni religiosi e pregare, quindi si tratta di una violazione di un obbligo previsto dalla legge”.
Ora il lettore Giuseppe D’Angelo si richiama ai Patti lateranensi sottoscritti dal cav. Mussolini e dal card. Gasparri. Riconosce che nel 1984 venne meno “la clausola riguardante la religione di Stato della Chiesa cattolica”, ma ricorda ai più distratti che fu invece confermato l’insegnamento scolastico della religione cattolica. Arriva poi a sostenere che “i principi del cattolicesimo… fanno parte di noi… sono obiettivi importanti per raggiungere i quali bisogna conoscere e comprendere anche… le varie pratiche religiose come rispettare i precetti o, perché no, recitare il rosario”. E riecco così anche il rosario della maestra, in certo qual modo giustificato.
Sembra tuttavia dimenticare, tra le altre cose, che l’IRC, svolto in conformità alla dottrina della Chiesa, non va più spacciato per “fondamento e coronamento dell’istruzione”, è del tutto facoltativo, privo di voti, e non prevede in ogni caso atti di culto in orario scolastico, sempre e comunque vietati.
Infine si chiede se “ai nostri ragazzi che vogliono regole e certezze nel loro delicato processo evolutivo, a scuola” non sarebbe meglio imporre “un’etica (anche religiosa) comune”, per contrastare la “pluralità” in cui si insinuerebbe il “pericoloso caos”.
Tutto è possibile, per carità. Ma prima di fare un passo del genere ne occorrerebbero preliminarmente degli altri. Bisognerebbe almeno denunciare alcuni fondamentali vincoli che ci legano all’Unione europea e al Consiglio d’Europa, alterare drasticamente i principi supremi della nostra Carta costituzionale, rinunciare alla laicità, al pluralismo, alla libertà di insegnamento, di pensiero, di espressione. E prima ancora sarebbe opportuno che un uomo della Provvidenza si incaricasse di organizzare almeno una bella marcia sulla capitale.
Per ora mi sembra tutto molto anacronistico. Aspetterei almeno gli esiti delle prossime elezioni.
Andrea Atzeni
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