Unicef: dati Ocse preoccupano, si investa nella scuola. E la Fornero gongola
I dati dell’Ocse sull’impiego, pubblicati il 16 luglio, non sono passati inosservati. Tra coloro che si sono detti preoccupati, in particolare per l’innalzamento del numero di giovani che non studiano e non lavorano, figura anche l’Unicef. Per il quale ha parlato il presidente italiano, Giacomo Guerrera: “come già l’Unicef aveva sottolineato nel Report Card 11 sul benessere dell’infanzia nei Paesi ricchi – ha detto – l’Italia ha un altissimo numero di ‘Neet’, cioè di giovani che non sono iscritti a scuola, non lavorano e non frequentano corsi di formazione. E’ necessario che il Governo investa nelle ultime generazioni, perché non riuscire a garantire i diritti dei giovani di oggi avrà conseguenze negative sul loro futuro di adulti”.
Secondo il rappresentante nazionale Unicef, uno dei “fattori chiave sul quale è necessario investire è l’istruzione: gli istituti scolastici devono essere strutturalmente adeguati e dotati di congrue risorse umane, tecniche e finanziarie per assicurare un’educazione di qualità, prestando particolare attenzione alla valorizzazione dello status degli insegnanti e del personale che lavora a diretto contatto con gli alunni. Inoltre – continua Guerrera – è importante intensificare le azioni di contrasto alla dispersione scolastica, estendendo e migliorando i programmi, a partire dalla prima infanzia; eliminando la disomogeneità nei risultati ottenuti, garantendo che i programmi siano accessibili, in particolare, ai minorenni con specifiche difficoltà d’apprendimento”.
Per l’Unicef, quindi, è la scuola uno degli anelli mancanti. Non punta il dito sul rallentato turn over, dovuto alla riforma delle pensioni. La stessa Ocse, del resto, reputa inutile pensare che per favorire i giovani occorra mandare in pensione il prima possibile chi ha lavorato già tanto. Un parere che rivaluta l’ex ministro del Lavoro, Elsa Fornero. La quale non perde l’occasione per ricordare che “i passi si fanno a seconda delle possibilità: sono convinta – ha detto – che quella sia la direzione giusta. Penso anche che non si debba sempre ricominciare da capo con una nuova riforma ma che bisogna lavorarci “.
Secondo Fornero aver reso “più stabile l’ingresso” al lavoro migliora la produttività delle persone e la loro formazione mentre aver reso “un po’ meno rigida” l’uscita potrebbe ridurre la segmentazione nel mercato del lavoro. Bisogna avere un atteggiamento laico – avverte – chi parla bene ora della riforma tedesca deve ricordare che per uno, due anni dopo l’approvazione la disoccupazione aumentò”.
Chi non la pensa allo stesso modo sono i sindacati Anief-Confedir: i quali “trovano assurdo che gli esecutivi che si sono succeduti abbiano progressivamente provveduto a bloccare il naturale ricambio generazionale nella pubblica amministrazione: un comparto dove operano oltre 3 milioni di dipendenti, ma dove da anni non si provvede più ad assumere. Viene anche da chiedersi come si possa mantenere lo stesso livello dei servizi se nel pubblico impiego in dieci anni sono stati cancellati 360mila posti. Con l’approvazione della riforma Fornero, infine, il quadro si è ulteriormente complicato”.