Il segretario nazionale dell’Unicobas Stefano d’Errico ci invia una sua riflessione sui dati che emergono dal Rapporto Censis presentato nei giorni scorsi. Lo pubblichiamo qui integralmente.
I laureati
Nel recente Rapporto Censis, a proposito dei laureati si legge: “Tra il 2014 e il 2017 i laureati italiani tra i 30 e i 34 anni passano dal 23,9% al 26,9% [però solo se teniamo conto delle lauree brevi] ( ), ma nello stesso periodo la media Ue sale dal 37,9% al 39.9% (sfiorando tra l’altro l’obiettivo del 40% fissato per il 2020)”.
Per quanto riguarda i 30-34enni laureati: “La migliore performance è quella della Lombardia (33,7%) che attrae anche cervelli dalle altre parti d’Italia, ma il dato è comunque distante dalla media europea, che sfiora il 40%, e soprattutto dall’alta classifica, che vede primeggiare l’Inner London West, con l’81,8% di giovani laureati. All’ultimo posto si colloca la Sicilia, con il 19,1% di cittadini 30-34enni laureati, un dato solo leggermente superiore al 15,8% dell’ultima regione in classifica [nella Ue] ( ), il Sud Muntenia della Romania”.
La spesa per la ricerca, nelle Università, dal 2014 al 2016 è sempre calata: 2014 = 5.816mln di euro (-2,1%)
2015 = 5.653 (-2,8%)
2016 = 5.597 (-1%).
Il Censis non è in grado di fornire risposte per gli anni successivi al 2016.
Scolarizzazione e abbandono scolastico
Abbandoni precoci dei percorsi di istruzione.
“Nel 2017 riguardano il 14% dei giovani 18-24enni, valore che si confronta con il 10,6% della media Ue”.
A dimostrazione della perdita di valore sociale dell’istruzione (elemento centrale, forse più della scarsità di investimenti), un’area molto ricca come il Nord Est “con il 10,3% di abbandoni è l’unica area italiana che si colloca al di sotto della media europea”.
Nel 2017, ben il 17,7% della popolazione italiana non ha ancora neppure la licenza elementare, così anche l’1,4% dei 15-19enni.
Abbiamo un 3,3% di “imprenditori e liberi professionisti” (così definiti dal Censis), che hanno acquisito solo la licenza di scuola Media inferiore.
Dall’anno scolastico 2013/2014 all’anno scolastico 2017/2018, i tassi di scolarizzazione sono progressivamente scesi in tutti gli ordini e gradi di scuola (compresa la scuola del cosiddetto “obbligo”, sulla frequenza della quale i controlli restano ridicoli).
Infanzia
2013/14 = 97,4%
2014/15 = 97,5%
2015/16 = 97,4%
2016/17 = 96,5%
2017/18 = 96,2%
Primaria
2013/14 = 98,8%
2014/15 = 98,3%
2015/16 = 98%
2016/17 = 97,9%
2017/18 = 97,6%.
Secondaria di Primo Grado
2013/14 = 102,6%
2014/15 = 101,8%
2015/16 = 101,3%
2016/17 = 100,8%
2017/18 = 100,7%.
Secondaria di Secondo Grado
2013/14 = 93,8%
2014/15 = 93,8%
2015/16 = 93,5%
2016/17 = 93,4%
2017/18 = 93,4%.
Scuola pubblica – scuola privata
Gli alunni delle scuole statali sono complessivamente 7.614.024, quelli delle scuole non statali 1.050.343.
Gli alunni con cittadinanza non italiana sono complessivamente 841.719 (8,41%), in modo estremamente prevalente concentrati nella scuola pubblica.
Il Censis, adottando quelle convenzioni del ‘politicamente corretto’ che il liberismo ha trovato ‘politicamente utili’, non fornisce dati distinti tra scuola pubblica e privata (come se il sistema formativo fosse un solo ibrido ‘unitario’, peccato che Costituzione non sia di questo avviso).
Resta comunque del tutto evidente come la presenza di alunni con cittadinanza non italiana abbia superato ampiamente il 10%, mentre la scuola privata (che sempre contro la Costituzione è pur finanziata anche da danaro pubblico) resta, come per l’handicap, sostanzialmente una scuola dell’apartheid.
(Sub)investimenti per l’istruzione
“L’Italia … investe in istruzione e formazione il 3,9% del Pil, mentre la media europea è del 4,7%. Investono meno di noi solo Slovacchia (3,8%), Romania (3,7%), Bulgaria (3,4%) e Irlanda (3,3%). (..) al tradizionale strabismo che vedeva il nostro Paese investire più degli altri nei segmenti scolastici iniziali e molto meno nell’università, si è sostituito un omogeneo volare basso che ci colloca in tutti i casi al di sotto della media europea. A parità di potere d’acquisto, la spesa per allievo risulta inferiore alla media europea di 230 dollari anche nella scuola primaria, per poi salire a una differenza di 917 dollari pro-capite nella secondaria di I grado, fino ai 1.261 dollari nella scuola secondaria di II grado. Il divario più ampio rimane quello relativo all’educazione terziaria: mentre in Italia si spendono 11.257 dollari per studente (valore che scende a 7.352 se si escludono le spese per ricerca e sviluppo), la media europea è pari a 15.998 dollari (11.132 senza ricerca e sviluppo), con una differenza dunque di ben 4.741 dollari”
Gli insegnanti vivono sempre più un contesto che “tende a eroderne la reputazione sociale”.
L’educazione ricorrente e permanente scema costantemente: “la quota di adulti che nel 2017 ha partecipato ad atività di apprendimento permanente è pari al 7,9%, a fronte di una media Ue28 di 10,9%, quota che scende a 5,3% tra i disoccupati”.
Alternanza scuola lavoro
Per quanto attiene all’alternanza scuola-lavoro, estesa prepotentemente da Renzi, si segnala che quasi la metà delle famiglie (4,49 punti di criticità su 10) e la stragrande maggioranza dei docenti (6,85 punti di criticità su 10), lamentano “l’eccessiva contrazione del tempo dedicato ad alcune discipline curricolari” .
Viceversa, più della metà (51%) dei dirigenti (ormai sempre più emanazione periferica del potere centrale) “è molto d’accordo con l’affermazione che, nonostante le difficoltà organizzative, l’Asl disegnata dalla “Buona Scuola” è una pratica positiva, migliorabile, che deve essere continuata per accrescere la futura occupabilità degli studenti; a questi si aggiunge il 32,1% di chi afferma di essere abbastanza d’accordo”.
Non di meno, persino tra i dirigenti, esiste una consistente contrarietà sulle formule di Asl introdotte. Secondo l’11,9% “l’Asl così come prevista non ha una sua utilità all’interno dei percorsi liceali, ma solo all’interno dell’istruzione tecnica e professionale”, e la cosa è molto rilevante, se si considera la quota dei Licei sul totale dell’Istruzione Superiore di Secondo grado.
Secondo il 21,2% “l’Asl non deve essere obbligatoria per tutti gli studenti, ma correlata al numero di percorsi di qualità che possono effettivamente essere attivati”.
Bullismo e cyberbullismo
La scuola appare sempre più fuori controllo: “Sono gli episodi di bullismo (75,9%), di cyberblismo (67,3%) e i furti ai danni di altri studenti o insegnanti (60,4%) che (..) possono più frequentemente interferire con il normale vissuto scolastico; a questi si aggiungono gli atti di vandalismo nei confronti della struttura e delle dotazioni (54,4%), insubordinazione o violenza nei confronti del corpo docente (42,4%), discriminazione verso donne/stranieri e disabili (34,3%). Lo spaccio e il consumo di sostanze stupefacenti nelle vicinanze della scuola sono segnalati dal 31%, mentre il consumo di sostanze stupefacenti da parte degli studenti da oltre un quinto dei rispondenti (23,9%)”.
E ancora: “In prospettiva, secondo il parere del 45,8% dei dirigenti scolastici [ma se l’avessero chiesto ai docenti la percentuale sarebbe schizzata alle stelle], è soprattutto il cyberbullismo, più del bullismo (25,9%), la forma di devianza che sembra essere in tendenziale aumento, seguita dall’insubordinazione e dalla violenza nei confronti del corpo docente (20,3%) e da atti di vandalismo nei confronti della struttura e delle dotazioni (17.9%)”.
Qualche riflessione
Informarsi solo presso i dirigenti scolastici, in una struttura (impropriamente) gerarchizzata come è diventata la Scuola grazie a Renzi, è evidentemente un limite inaccettabile per una ricerca come quella del Censis, come se in una inchiesta sull’impresa o sul mondo impiegatizio ci si fosse riferiti solo ad imprenditori e capi-ufficio, senza tener in conto delle remore che questi hanno nel dichiarare le criticità degli ambiti di lavoro dei quali sono responsabili, nonché quelle dettate dal minore ‘interesse’ verso l’esternazione delle sofferenze patite da quanti invece lavorano in prima linea dovendo spesso sopportare e minimizzare ciò che il dirigente non vuole fare apparire: in questo caso gli insegnanti (che poi sono il corpo centrale della Scuola).
Un’altra osservazione è d’obbligo: va sottolineata la percentuale (del resto denunciata dalle cronache) relativa alla violenza, spesso addirittura fisica (che il Censis, colpevolmente, non separa da quella verbale o ‘generica’), ai danni dei docenti, che s’avvicina sempre più pericolosamente a quella ben più nota relativa alle varie forme di bullismo. Un aspetto che ha destato giustamente molto allarme sociale (e persino spot televisivi dei vari governi), compreso l’ultimo, senza che invece si sia fatto o si faccia nulla per tutelare il corpo insegnante, peraltro sempre peggio retribuito e considerato.