Il rilancio dell’Università italiana deve “ripartire dal mezzogiorno”, perché il numero di giovani tra 30 e 34 anni laureati è solo del 24% e al Sud la percentuale scende di 5 punti.
Si tratta di numeri irrisori, i più bassi d’Europa. Per questo serve un intervento. La richiesta è stata formulata il 16 dicembre dalla Flc Cgil, nel corso di un convegno a Roma da cui è emersa l’esigenza del “progressivo impoverimento” degli Atenei meridionali e delle Isole. I quali, negli ultimi anni, hanno perso studenti, docenti, fondi e posizioni nelle classifiche.
La Legge di Stabilità, ha detto Gianna Fracassi, segretario confederale Cgil, contiene alcuni interventi per l’università, ma non segna un’inversione di tendenza e particolarmente grave è “l’insufficienza di risorse per il diritto allo studio nonostante il preoccupante calo degli iscritti”.
Occorre quindi “arrestare la spirale del declino delle università meridionali con scelte immediate”. Innanzitutto “rifinanziare il Fondo di finanziamento ordinario e poi “serve un piano straordinario di assunzione di docenti e ricercatori nel Mezzogiorno”.
“Negli ultimi sette anni – ha spiegato l’economista Gianfranco Viesti – c’è stato un disinvestimento fortissimo nel settore universitario. Una scelta politica che non ha riscontri altrove. E’ stato tagliato di tutto, dalle immatricolazioni ai finanziamenti. Abbiamo 7 miliardi di risorse per l’università contro i 26 della Germania”.
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“L’Italia non ha sostanzialmente una politica di diritto allo studio – ha aggiunto Viesti, citando le poche borse e l’aumento delle tasse – l’Italia sta tornando a un’università di classe, alla quale accedono soprattutto i figli di famiglie abbienti, a fronte di un diritto allo studio garantito dalla Costituzione”.
Il vero tema, ha detto infine Roberto Torrini, direttore dell’Anvur (Agenzia di valutazione del sistema universitario e della ricerca), è quello delle risorse, che “si sono ridotte in misura draconiana e senza motivo, visto che erano già inferiori a quelle di molti altri Paesi europei. Un taglio del 20% delle risorse non sta nè in cielo nè in terra”.
Amara la conclusione della Flc-Cgil. Per l’organizzazione Confederale, “l’assenza di una politica universitaria nazionale, unita a una forte riduzione dell’investimento pubblico e a un sistema di valutazione iniquo che influisce sui criteri per l’attribuzione delle risorse stanno producendo l’effetto di incrementare i già consistenti divari territoriali”.
Il sindacato ha anche fatto notare il gap Nord-Sud anche sulla diminuzione dei docenti di ruolo (-18,3% nel Sud contro l’11,3% al Nord e il 21,8% al Centro) e sulla riduzione dei dottorati banditi (-38% al Sud contro il 19% di media in Italia).
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