Università, il decreto d’urgenza non placa la protesta
La parziale apertura del Governo con il decreto d’urgenza sull’Università del 6 novembre, che premia gli atenei più virtuosi, introduce delle commissioni di concorso più super partes e l’emanazione di borse di studio e di fondi dell’edilizia, non sembra aver dato alcun frutto sul fronte del dialogo con i contestatori: da studenti, sindacati, docenti e opposizione politica giungono parole di disapprovazione per il provvedimento.
Se si escludono le borse di studio, finanziate con 135 milioni di euro ad hoc, gli studenti si sentono delusi per un provvedimento che non sanerebbe affatto la situazione: “grazie alle nostre proteste è stata aperta una breccia – ha detto Federica Musetta, coordinatrice nazionale Udu – che porterà nuove borse e residenze agli universitari. Ma con il decreto non si vanno a togliere i problemi più grossi, per cui la protesta in atto non si sospende”. La rappresentante dell’Udu sottolinea come la condizione indispensabile per fermare la mobilitazione in atto rimane quella di “eliminare i tagli che invece rimangono sostanzialmente uguali”, mentre si applicano provvedimenti “populisti e mediatici: se si fosse voluto veramente cambiare ad esempio il sistema di valutazione degli atenei – sostiene la rappresentante degli studenti – si sarebbe finalmente dovuto adottare un organo nazionale, come poteva essere l’Anvur, e non il Civr che è legato al ministero. Serviva una parte `terza’, come servirebbe coinvolgere in questo organo gli studenti che rappresentano un elemento importante nel giudizio della didattica. Invece continuiamo ad essere ignorati”.
Il giorno dopo la presentazione del decreto la contestazione è così sembrata addirittura rafforzata. Gli studenti hanno anche ricevuto delle parole di comprensione dal Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, che ha detto di capire la “preoccupazione che percorre Paese”. Decine di migliaia di studenti, anche delle superiori, sono scesi in piazza, in tutta Italia, da Nord a Sud. L’’onda anomala’, come amano definirsi gli stessi studenti, è tornata a ‘travolgere’ strade e piazze di molte città: in particolare Roma e Milano, ed in entrambe i casi vi sono stati dei leggeri incidenti con le Forze dell’Ordine. A Roma, vicino la stazione Ostiense, è stato ferito lievemente uno studente assieme ad alcuni agenti contusi. Perentorio anche il messaggio, unitario, che giunge dai sindacati Confederali, i quali attraverso un comunicato dichiarano sul dl che “non si vede in alcun modo all’orizzonte la volontà della correzione radicale di rotta che si rende necessaria. E’ del tutto evidente – spiegano Flc-Cgil, Cisl e Uil – che le grandi mobilitazioni in corso stanno preoccupando il Governo in modo crescente, e che è in corso un tentativo di allungare i tempi, sperando in un calo di tensione, e di produrre qualche modifica da spendere come soluzione dei problemi. Resta invece la Legge 133, con tutti i suoi tagli e vincoli distruttivi, restano il decreto ammazza-precari e le norme Brunetta, resta una Finanziaria da strangolamento. Resta il silenzio perdurante del Ministero rispetto al dialogo con le parti sociali”.
“Non è con questi piatti di lenticchie – sottolinea Mimmo Pantaleo, segretario della Flc-Cgil – che si può fermare una protesta che cresce nella coscienza del Paese: Il 14 novembre l’Università, la Ricerca, l’Afam saranno in piazza a manifestare per cancellare la legge 133 e le sue devastanti conseguenze”.
Dello stesso avviso sono risultate le associazioni dei docenti: Nunzio Miraglia, leader dell’Andu, Associazione nazionale docenti universitari, sostiene che le norme introdotte il 6 novembre “non cambiano nulla perché rimangono in piedi i tagli, solo rimandati di un anno, la possibilità di trasformare le Università in Fondazioni, a cui Gelmini non ha fatto alcun riferimento, ed i concorsi, per i quali il modello del sorteggio parziale ha già mostrato di essere fallimentare”. A proposito dei concorsi, si sofferma sull’introduzione di quattro membri esterni alla commissione dei concorsi per docente e di due per quella di ricercatore. Per il sindacalista il dl non rappresenta il forte cambio di rotta richiesto da tutti, ma “significa, piuttosto, che ancora una volta i `baroni’ hanno vinto. Per vincere parentopoli e corporativismi – ha detto il rappresentante dell’Andu – si sarebbe invece dovuto eliminare del tutto la presenza di membri interni, che sono la `madre’ di tutti i nepotismi universitari, introducendo finalmente un sorteggio `puro’ di soli membri esterni tutti sorteggiati”. Secondo Miraglia questo decreto non è la risposta che voleva il mondo universitario in mobilitazione: è piuttosto “un bruttissimo segnale per il futuro perché – sostiene – questi concorsi così formulati per il futuro rappresentano un segnale di inamovibilità”. Giudizio negativo anche per la differenzazione di fondi e di turn over che il governo intende attuare in base ai parametri meritocratici di ogni singolo ateneo: “qualsiasi tipo di correzione – sottolinea Miraglia – avrebbe dovuto essere preceduta da un aggiustamento con preavviso in corso d’opera: il modello prospettato produrrà invece lo `spappolamento’ del sistema nazionale e di salvaguardia di comune interesse”. Dure critiche sono piovute sul decreto d’urgenza sull’Università anche dall’opposizione politica. Emblematiche le parole di Antonio Di Pietro, leader dell’Idv, secondo il quale ormai “questo Governo lavora soltanto sui sondaggi e sulla propria immagine. Si e’ accorto di aver fatto la pipì fuori dal vaso. E cosi ha ritirato un provvedimento che, è un autentico cesso”. Per Di Pietro ormai il piano del Governo è chiaro: “la Gelmini guarda solo a togliere fondi, colpendo i più virtuosi. Una riforma cosi non può essere fatta dal Ministero delle finanze puramente su freddi calcoli. No è una cosa fatta male e del tutto inaccettabile”.