Università italiana, più ombre che luci

Il nuovo sistema universitario sembra tradire le aspettative deludendo proprio sugli elementi più qualificanti, come l’età dei laureati, sempre troppo alta, e gli abbandoni, che si confermano tra i più elevati in Europa. Le indicazioni giungono dalla ricerca sullo “Stato della riforma universitaria del 3+2”, condotta dal consorzio Almalaurea, cui fanno capo circa cinquanta atenei italiani: complessivamente ci si laurea in corso di più che in passato, ma è inequivocabile che meno studenti arrivano sino in fondo. E che l’età media di chi prende il titolo accademico non si è abbassata quasi per nulla. Cresce poi la frequenza dei corsi, ma diminuisce la qualità degli studi.
In base a quanto emerso dalla ricerca, presentata il 25 maggio dal direttore di Almalaurea Andrea Cammelli direttamente al ministro dell`Istruzione Mariastella Gelmini, la regolarità nel concludere gli studi nella durata prevista dagli ordinamenti, che era a livelli ridottissimi (9,5%), ora è più che quadruplicata ed è raggiunta oggi da quasi 40 laureati su cento: nel 1995/96, infatti, concludeva in corso il percorso di studi solo il 3,7% degli immatricolati (l`11,2% comprendendo il ritardo di un anno). Fra gli immatricolati del 2001/02 a concludere in corso sono 17,6 laureati su cento (32,5 entro il primo anno fuori corso). Tuttavia, se aumentano i laureati in corso, su un`intera generazione di giovani che si iscrive all`università solo una minima quota raggiunge il titolo nei tempi previsti. Confermata in pieno anche la tendenza all`abbandono degli studi precoce, già durante il primo anno d`iscrizione: una triste realtà che riguarda circa due neo-iscritti su dieci (contro una percentuale media europea vicina al 10%).
Se è vero che poi le conoscenze linguistiche ed informatiche quasi ovunque risultano in espansione, è comunque diffuso il dubbio che la qualità della preparazione si sia abbassata, soprattutto tra i laureati di primo livello. Per Almalaurea le possibili cause sono nell’ampliamento della popolazione che ha avuto accesso agli studi universitari; nella minore preparazione di tanti giovani provenienti dalla scuola secondaria superiore; nelle la contrazione delle ore per ogni insegnamento; nella moltiplicazione dell`offerta formativa e dei corsi non sempre giustificata da reali esigenze; nell’abolizione dell`obbligatorietà delle tesi.
Per il ministro Gelmini “i dati dimostrano che l`università italiana ha bisogno di un profondo rinnovamento. Per questo è urgente una riforma che rilanci il sistema e la sua qualità. Credo sia indispensabile che le università pubblichino i risultati del loro lavoro e della loro didattica – conclude – per poter misurare la competitività del sistema”.
Un po’ a sorpresa risulta, invece, in crescita la frequenza alle lezioni anche in facoltà e percorsi di studio tradizionalmente poco seguiti. Tra le note positive del dossier c’è la confermata la tendenza a portare a termine il percorso formativo accademico, soprattutto tra i giovani provenienti da ambienti familiari socialmente ed economicamente favoriti e quelli residenti in aree del Paese economicamente più arretrate: il 60% dei laureati di primo livello prosegue gli studi acquisendo una laurea specialistica. Tuttavia, spiegano i ricercatori autori dello studio interuniversitario, anche i laureati di primo livello che non proseguono gli studi risultano complessivamente apprezzati nel mercato del lavoro.
Risulta poi in crescita poi la tendenza a non allontanarsi da casa, a studiare nella sede più vicina quale che sia l`offerta formativa disponibile: a frenare la mobilità territoriale sono i costi, spesso insostenibili per le famiglie soprattutto dove mancano infrastrutture adeguate. A fronte di una scarsa capacità attrattiva delle università italiane verso i giovani degli altri Paesi, aumenta il numero dei connazionali che decidono di studiare all`estero.
Con il modello “3+2” sono aumentati i tirocini e gli stage fuori dall`ambiente universitario per gli studenti del nuovo ordinamento, che rimangono invece esperienze circoscritte fra i laureati pre-riforma. In crescita il numero dei laureati (nel 2001 172mila; nel 2008 post-riforma 293mila: la laurea è entrata per la prima volta nelle famiglie di 72 laureati su cento), ma non si abbassa l’età media alla laurea, che nel 2008 è di 27 anni, mentre nel 2001 era di 28 anni.
Per quanto riguarda le votazioni Almalaurea ha rilevato che sono molto alti, con una media che arriva a 108,7 su 110 nei corsi specialistici: ma alla luce della preparazione media degli studenti universitari, piuttosto modesta, “il dato rivela – spiegano dal consorzio universitario – che in alcuni casi si rinuncia a fare una valutazione effettivamente basata sulla qualità e sul merito”.
Alessandro Giuliani

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