Mentre comincia la sessione estiva per gli universitari degli atenei italiani, bisognerebbe riflettere sul fatto che dal 2004 ci sono circa 66mila matricole in meno.
Questo significa che, in media, un diplomato su due sceglie di non proseguire gli studi.
Nel Sud meno del 20% dei giovani consegue il diploma di laurea ed è proprio qui che si registra maggiormente il crollo delle iscrizioni all’università.
Tra l’altro, i giovani che decidono di continuare a studiare sempre più spesso scelgono di farlo nelle università del centro e del nord.
La verità è che l’istruzione è stato probabilmente uno dei primi ambiti a risentire in modo evidente della crisi economica globale esplosa dal 2008.
Da lì infatti tutte le personalità note nel mondo dell’economia, persino i premi Nobel, anno dopo anno hanno indicato come possibile via per la ripresa quella dell’investimento nell’istruzione.
E se più o meno tutti i paesi d’Europa hanno cercato di mettere in pratica il suggerimento, l’Italia è riuscita ad andare anche questa volta, inspiegabilmente, contro tendenza: siamo gli unici in tutta Europa ad aver tagliato le risorse durante la crisi, riducendo del 22,5% il finanziamento pubblico alle università.
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Senza dubbio, l’affermarsi dei corsi professionali rispetto ai licei e la perdita di efficacia delle lauree tradizionali hanno influito non poco in questo progressivo allontanamento dalle aule universitarie, tuttavia il continuo disimpegno dello Stato ha le principali responsabilità.
Basta volgere lo sguardo a ciò che accade nel resto del continente. Mentre in Spagna il numero di giovani aventi diritto alle borse di studio è aumentato del 55%, del 36% in Francia e del 32% in Germania, in Italia le borse di studio e le risorse al diritto allo studio sono diminuite spaventosamente. Il 25% degli idonei alle borse di studio non sono riconosciuti come beneficiari perché gli enti non sono in grado di erogare tutte le borse, non ricevendo sufficienti fondi dalla Regione.
Molti ragazzi non vengono nemmeno riconosciuti come idonei per colpa dell’ISEE, specie da quando nel suo calcolo influisce anche il patrimonio immobiliare. Dal 2005 infatti si è calcolato che, grazie al sistema delle fasce di reddito, l’Italia ha aumentato le tasse universitarie del 50%.
Il sempre più evidente impoverimento delle famiglie medie rischia di arrivare a coincidere in egual misura ad un impoverimento culturale: la fiducia nell’utilità di un titolo accademico, dell’università come strumento di progresso sociale e professionale è labile e precaria come i lavoratori che i nostri atenei sfornano.
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