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Università: manca il dialogo, cresce il dissenso

Già nei mesi scorsi la preoccupazione a seguito degli interventi previsti per l’università dal decreto legge n 112, con i tagli preannunciati e le limitazioni del “turn over” dei docenti, che comporterà un ricambio ridotto tra pensionati e nuovi assunti (in rapporto di uno a cinque, a causa del quale “assegnisti”, dottori di ricerca, personale con  contratto a tempo determinato faticheranno molto ad essere “stabilizzati”), aveva indotto i Senati accademici di numerosi atenei ad elaborare documenti che esprimevano forte disagio. E su tali argomenti erano intervenuti in maniera critica anche la Crui (Conferenza dei rettori delle università italiane) e il Cun (Consiglio universitario nazionale), mentre numerosi sindacati ed associazioni di docenti parlavano apertamente di “smantellamento” del sistema pubblico universitario.
Soprattutto le ulteriori decurtazioni ai finanziamenti pubblici per gli atenei, con i pesantissimi tagli nei prossimi cinque anni al Fondo di finanziamento ordinario per le università (per non parlare dei risibili stanziamenti per il settore della ricerca), e l’idea di trasformare le università pubbliche in enti di diritto privato – attraverso fondazioni che offrendo finanziamenti potrebbero certamente indirizzare (condizionare?) le scelte dei percorsi formativi –  hanno generato altra inquietudine.
E in effetti la “manovra d’estate” non poteva che portare … “forti perturbazioni in autunno”, alla riapertura del nuovo anno accademico. La percezione di una mancanza di volontà di confronto da parte del Governo ha portato il mondo universitario a serrare le fila e così sono iniziate le proteste, le manifestazioni e i blocchi delle lezioni (o lezioni in piazza) che hanno caratterizzato questi ultimi giorni.
Si sono moltiplicate le richieste di rivedere, nella parte che riguarda l’università, la legge n.133 di conversione del D.L. n. 112, ma il premier Berlusconi ha opposto un netto diniego ed anzi, in occasione della conferenza stampa tenuta mercoledì a Palazzo Chigi, accanto al ministro Mariastella Gelmini, per chiarire i contenuti del decreto legge n. 137 (il cosiddetto decreto Gelmini), che riguarda soprattutto la scuola e i controversi aspetti legati al “maestro unico”, al “tempo scuola” e alla valutazione degli alunni, ha minacciato di far intervenire le forze dell’ordine per impedire l’occupazione di istituti scolastici e università da parte degli studenti. E per rafforzare il concetto, dopo le ormai consuete rimostranze contro l’opposizione e la stampa, il presidente del Consiglio ha sottolineato: “convocherò il ministro dell’Interno e gli darò istruzioni dettagliate su come intervenire con le forze dell’ordine per evitare che queste cose succedano”.
Le repliche ovviamente non si sono fatte attendere e nell’opposizione c’è chi teme una “deriva autoritaria”. Ma è dallo stesso mondo accademico che piovono critiche sulle dichiarazioni di Berlusconi: ad esempio, il rettore dell’Università dell’Aquila, Ferdinando di Orio, afferma che “non solo è sconcertante ma è davvero pericoloso drammatizzare il livello dello scontro che, come tutti i rettori e tutti coloro che hanno a cuore l’università pubblica ripetono ormai da anni, vuole sostanzialmente portare al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica la drammatica situazione in cui versa l’università; una situazione che i recenti provvedimenti governativi rischiano di
compromettere definitivamente”.
Ferdinando di Orio precisa che non volere “comprendere il significato di una protesta che interessa trasversalmente tutte le componenti accademiche, dagli studenti al personale docente, può rientrare nelle logiche del gioco democratico e delle opzioni politiche; ma è davvero incomprensibile, e per certi versi irresponsabile, volere trasformare una civilissima e legittima mobilitazione di tutta l’università italiana in un problema di ordine pubblico”.
In merito alle dichiarazioni del presidente del Consiglio, “ciò che trovo inaccettabile – aggiunge il rettore dell’Ateneo abruzzese – è voler forzatamente accreditare l’immagine di un’università spaccata al suo interno, nella quale una piccola frangia di estremisti impedisce agli ‘studenti modello’ di poter frequentare le lezioni; così non è, perché la stragrande maggioranza degli studenti vuole soltanto una università migliore e, soprattutto, vorrebbe essere ascoltata dai suoi naturali interlocutori politici e governativi”.
Infine, di Orio “tranquillizza” il presidente del Consiglio “perché i rettori delle università italiane, nell’esercizio della loro autonomia istituzionale, sapranno vigilare e non permetteranno che la legittima protesta determini discriminazioni nei confronti di alcuno”.
Insomma, una contrapposizione che rischia di produrre “scintille”, visto che l’apparente indisponibilità al dialogo del Governo probabilmente porterà ad un irrigidimento della posizione di chi contesta. Intanto, la “chiusura” ha avuto l’effetto di compattare le varie componenti del settore dell’istruzione superiore: studenti, docenti e rettori che si oppongono ai tagli e all’ingresso massiccio dei privati nel sistema universitario, come avverrebbe con le fondazioni.
In attesa dell’annunciato piano del ministro Gelmini sul sistema universitario (sembra siano già pronti i decreti attuativi delle disposizioni contenute nella legge n. 133) e dei dati che Flc Cgil, Cisl Università, Fir Cisl e Uil Pa-Ur.Afam forniranno in un’apposita conferenza stampa “su quanto il nostro Paese investe in ricerca, quanti sono i ricercatori e quanto siamo ancora distanti non solo dagli obiettivi di Lisbona, ma anche da quello che le altre Nazioni, più lungimiranti dell’Italia, stanno facendo”, le suddette sigle sindacali hanno proclamato la mobilitazione in vista dello sciopero generale del settore fissato per il 14 novembre.
Intanto, alcuni sindacati, associazioni professionali e rappresentanze studentesche (Adu, Apu, Andu, Cnru, Cnu, Sun, Cisl Università, Flc Cgil, Uil Pa-Ur.Afam, Cisal Università, Rnrp, Adi, Udu) hanno diffuso una piattaforma programmatica per l’Università italiana, in cui si legge che “i recenti provvedimenti legislativi e quelli annunciati, se non abrogati e bloccati, determineranno la definitiva scomparsa dell’università pubblica, mutandone radicalmente la natura, la missione, le finalità e l’assetto. Una università alla quale la nostra Costituzione assicura autonomia e libertà di ricerca e di insegnamento”.
Le suddette organizzazioni ed associazioni della docenza universitaria, dei ricercatori precari, dei dottorandi e degli studenti intendono, però, essere anche propositivi e illustrano “un quadro di interventi alternativi che affrontino le criticità evidenti del sistema, valorizzino le risorse presenti, sollecitino la crescita della qualità della didattica e della ricerca, e consentano all’università italiana di svolgere quel ruolo sociale di promozione della cultura e dell’innovazione di cui il Paese ha enorme bisogno”.
Nel documento sono poi enumerati quelli che vengono definiti “valori fondanti”, a cominciare dalla natura pubblica del sistema universitario: “il ruolo dello Stato come erogatore e garante di un sistema di alta formazione è indispensabile per assicurare le condizioni affinché l’università resti, ed anzi divenga sempre più, elemento centrale del sistema di welfare. E’ compito del sistema pubblico garantire parità di condizioni universali nell’accesso all’università, assicurare la qualità dell’offerta didattica, e per questa via ripristinare una mobilità sociale che appare ridotta”.
A proposito del diritto allo studio si evidenzia che “le differenze di condizione economica di origine portano di per sé a differenze nell’accessibilità all’offerta culturale, anch’essa componente essenziale della formazione. Perché siano garantite pari opportunità per tutti è necessario intervenire anche su quest’aspetto con agevolazioni mirate”.
Si sottolinea, inoltre, che va “assicurato il carattere unitario del sistema nazionale universitario, dotato di effettiva autonomia, all’interno del quale deve essere garantita l’autonomia dei singoli atenei. Il ruolo del privato rappresenta un’utile integrazione, uno stimolo ed una risorsa, che deve avere tuttavia carattere complementare al mantenimento di un forte, prevalente sistema pubblico di atenei”.
Tra i “valori fondanti” anche la natura cooperativa e partecipata del sistema universitario e il suo ruolo sociale, “ruolo che si estrinseca in un rapporto trasparente tra la domanda sociale, il concreto funzionamento degli atenei e la loro capacità di dare risposte sulla base di un misurabile rapporto costi-benefici, da rendere visibile attraverso una congrua valutazione del sistema e delle sue singole articolazioni (atenei, facoltà, dipartimenti, progetti di ricerca, percorsi formativi)”.
In particolare, sulla valutazione viene precisato: “senza una valutazione che consenta di misurare meriti e difetti in modo puntuale, l’università non sarà in grado di ristabilire una bussola condivisa e condivisibile sul proprio operato. Il precedente Governo aveva costituito l’Agenzia per la valutazione del sistema universitario e di ricerca (Anvur), provvedimento a lungo discusso e sul quale avevamo prodotto numerose critiche, a cominciare dalla sua effettiva terzietà e dalla quantità di compiti assegnati, per finire con una certa farraginosità dell’impianto costitutivo. Nonostante i numerosi punti di dubbio e contrarietà, l’Anvur costituiva tuttavia il primo tentativo sistemico di introdurre una valutazione continua e ricorrente. L’attuale Governo ne ha congelato la costituzione, e non è dato sapere se intende riaprire il capitolo”.
Per quanto concerne il turn over “è necessario programmare un’operazione di reclutamento straordinario di consistenti dimensioni, su fondi nazionali aggiuntivi, che consenta di dare una prospettiva alle competenze presenti nell’abnorme area del precariato; e al tempo stesso programmare la ripresa di un reclutamento ordinario”.
Si auspica una carriera unica, che “può essere articolata in fasce, scandita da verifiche periodiche che diano luogo alla progressione stipendiale e ai passaggi di fascia, che devono realizzarsi ad esito di valutazioni della qualità scientifica e didattica del singolo docente”. Si precisa che”va salvaguardata una quota di accessi dall’esterno, attraverso un meccanismo concorsuale”.
In sintesi, nel documento si paventa la “liquidazione del ruolo pubblico ed un sistema universitario sempre più impoverito sul piano finanziario e, soprattutto, sul piano delle risorse intellettuali ed umane” e si propone al Governo “un confronto autentico con tutti i soggetti coinvolti ed interessati”.

Servirà questo “appello” per riallacciare il filo del dialogo, auspicato anche dal presidente Napolitano? Al momento sono più le inquietudini che le speranze di “ragionevolezza”.

Andrea Toscano

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