Entro il 2018 il sistema avrà perso 9.486 professori ordinari. Un tracollo numerico che si somma a quello degli ultimi 7 anni, durante i quali – a seguito della riduzione dei finanziamenti, del blocco del turnover dei concorsi e dell’abbassamento dell’età pensionabile – si è già assistito passivamente ad un calo del 30% dei professori ordinari e del 17% di quelli associati. Come se non bastasse, la fascia dei ricercatori è a esaurimento da alcuni anni. La grigia fotografia è stata scattata dal Cun (il Consiglio universitario nazionale), che il 15 aprile ha inviato al ministro Giannini un documento in cui analizza la situazione e avanza proposte per ‘mettere in sicurezza’ il sistema. E nel quale sostiene che è “irrinunciabile e urgente” un ripensamento complessivo delle strategie nazionali in materia di reclutamento, organizzazione e finanziamento del sistema universitario.
In assenza di interventi, secondo le proiezioni elaborate dal Cun, entro il 2018 i professori ordinari caleranno del 50% (saranno 9.443 a fronte dei 18.929 del 2008, anche a causa del pensionamento di 4.400 docenti) e gli associati diminuiranno del 27% (13.278 a fronte di 18.225). Complessivamente dunque nel 2018 ci saranno 9.463 professori universitari in meno. Il Cun segnala inoltre che si diventa professori e ricercatori sempre più avanti con l’età: in media si è ordinari a 51 anni, associati a 44 anni e ricercatori a 37 anni. “La grave diminuzione numerica in corso, mai registrata in precedenza di queste dimensioni, porterà fra 4 anni a un dimezzamento dei professori ordinari e a una contrazione fortissima delle altre fasce dei docenti, per mancanza di risorse per la progressione di carriera, tale da rendere improponibile la corretta gestione e lo sviluppo di un sistema universitario così complesso e articolato come il nostro, spingendo l’Italia in direzione opposta alla tendenza in atto negli altri Paesi” sottolinea il presidente del Cun Andrea Lenzi secondo il quale “è fuori dubbio che la consistenza del corpo docente influenzi la qualità dell’attività universitaria e che il calo degli immatricolati dipenda anche da un complessivo depauperamento e apparente abbandono e dismissione del sistema”. Lenzi auspica che la stessa attenzione che il governo Renzi sta dando alla scuola venga dedicata all’università confidando che il ministro Giannini saprà trovare “gli spazi politici e le compatibilità finanziarie che consentano di reperire le risorse necessarie a una ripresa”. Da parte sua il Cun suggerisce un intervento straordinario urgente: servono – spiega – 6000 assunzioni per ordinari e 14.000 associati entro il 2018, con una prima tranche di 4.000 assunzioni di ordinari e 10.000 associati nel triennio 2014-2016. Inoltre, entro il 2016 andrebbero reclutati almeno 9.000 ricercatori a tempo determinato.
Tutto ciò “è perfettamente compatibile con un corpo docente auto-sostenibile finanziariamente” assicura il Cun secondo cui, a regime, i risparmi per le cessazioni andranno a compensare le spese per le nuove assunzioni e per gli scatti stipendiali, al netto dell’inflazione. L’intervento proposto dal Cun avrebbe un costo a regime di soli 400 milioni di euro. E’ inoltre auspicabile – aggiunge il Consiglio – l’abolizione del sistema dei ‘punti organico’ in favore di un vincolo esclusivamente budgetario sulle risorse per il personale, che obblighi le università a utilizzare le risorse liberatesi con i pensionamenti solo dopo aver effettuato l’accantonamento preliminare delle risorse necessarie per la copertura (annua) degli incrementi stipendiali del personale in servizio (al netto dell’inflazione); l’anticipazione al 2015 della possibilità di utilizzare al 100% le risorse di turnover.
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