Si sono appena conclusi o stanno per concludersi in molte scuole d’Italia gli Esami di Stato 2020. Come tutti sanno, si è trattato di esami sui generis che hanno contemplato una sola prova, il colloquio.
Una delle cinque fasi in cui il colloquio si è articolato è quello destinato all’ “accertamento delle conoscenze e delle competenze maturate dal candidato nell’ambito delle attività relative a Cittadinanza e Costituzione” (art.17, c.1 dell’OM n. 10 del 16 maggio 2020), conoscenze e competenze maturate dalle studentesse e dagli studenti che non possono, però, trasformarsi nell’ennesimo bla bla e chiacchiericcio inutile. In questi stessi giorni, in molti Istituti, si stanno riunendo in remoto i Consigli d’Istituto, che sono il massimo organo nella vita democratica della scuola, quello in cui trovano voce e rappresentanza tutte le componenti del mondo scuola: il dirigente, i docenti, il personale ATA, le studentesse e gli studenti (parliamo delle scuole secondarie di secondo grado).
All’ordine del giorno, in genere, l’approvazione del conto consuntivo e delle variazioni al Programma annuale, i criteri di formazione delle classi o di assegnazione dei docenti alle classi. Per molti dei rappresentanti degli studenti, al quinto anno e ormai diplomati, si è trattato della loro ultima partecipazione alla vita democratica della scuola e le questioni tecniche poste all’ordine del giorno difficilmente avranno destato l’interesse dei più. Il fatto è che nel Consiglio d’Istituto i nostri studenti hanno potuto fare esperienza diretta, la loro prima esperienza diretta, dei loro diritti e dei loro doveri, dell’importanza del confronto di idee, del rispetto delle libertà proprie e altrui. Un’esperienza che ha consentito di far diventare realtà ciò che hanno imparato sui banchi di scuola nell’ambito delle attività di Cittadinanza e Costituzione e toccare con mano l’importanza del proprio fattivo contributo al buon andamento dell’istituzione scolastica.
Ecco perché è da stigmatizzare come un vero e proprio schiaffo alla democrazia e alla libertà la mancata convocazione, per mesi, del Consiglio d’Istituto che, in alcune scuole, per fortuna poche, non si è riunito addirittura dall’inizio di febbraio. Se l’emergenza da Covid non ha impedito di convocare, seppure a distanza, consigli di classe, collegi di docenti, GLO, riunioni dipartimentali o di staff, non si capisce perché in alcune scuole sia stata permessa una iattura del genere. Sì, una vera e propria iattura, perché si è inculcato soprattutto nei nostri studenti, ma anche nelle loro famiglie, il concetto che , in periodi di emergenza come quelli che abbiamo vissuto, del Consiglio d’Istituto tutto sommato si potesse pure fare a meno, tanto sono ben altre le cose importanti a cui pensare.
Ciò è ancora più grave perché, in un momento così difficile, la partecipazione attiva alle sedute dei Consigli avrebbe potuto rappresentare una proficua occasione di confronto di elevato valore formativo e educativo, incoraggiando i giovani ad avanzare idee e proposte, per esempio sulla didattica a distanza, sull’efficacia delle nuove metodologie didattiche, o semplicemente a garantire quella continuità con il mondo scuola e tutta la sua variegata articolazione che la pandemia ha bruscamente spezzato . Il fatto poi che , dopo cinque mesi di sospensione della democrazia, si sia tornati a convocare tranquillamente i Consigli d’Istituto, come se nulla fosse, per quelle incombenze burocratiche che, pur necessarie per il buon funzionamento dell’istituzione scolastica, non possono e non debbono mai prendere il sopravvento sull’esercizio dei diritti e delle libertà, ha lanciato un messaggio ancora più sbagliato ai nostri giovani: al confronto di idee, al dibattito democratico e all’esercizio delle libertà si può pure rinunciare, alle incombenze burocratiche davvero no. Non ci lamentiamo, perciò, se i giovani si allontanano dalla politica e si mostrano apatici e disinteressati. Siamo stati noi adulti ad insegnare loro che della democrazia si può fare pure a meno.
Andrea Canonico
Giuseppe Scafuro
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