Quella dell’insegnante è una professione esposta a rischi continui, anche di carattere penale, soprattutto quando gli alunni sono in tenera età o disabili. Periodicamente, raccogliamo storie di docenti che si trovano a doversi difendere, per i motivi più disparati, da ipotesi di procedimenti disciplinari e addirittura pesanti accuse che li portano davanti al giudice.
Tra questi, c’è anche una maestra di un istituto comprensivo del Monte Amiata, in provincia di Grosseto, che dieci mesi fa, mentre si trovava in giardino con degli alunni di sei anni della classe prima, fu attaccata, assieme agli alunni, da uno sciame di vespe: le famiglie contestarono alla docente, sin da subito, la mancata comunicazione immediata dell’accaduto e la non attivazione dei canonici “canali di emergenza”.
A loro avviso, la maestra avrebbe minimizzato la vicenda e soprattutto la avrebbe gestita troppo autonomamente, senza dare le dovute spiegazioni, nemmeno nelle ore successive all’episodio accaduto in giardino.
Alcuni genitori, aveva scritto La Nazione, avevano chiesto esplicitamente “di fare chiarezza sulle dinamiche dei fatti, la responsabilità e la condotta dell’insegnante”.
“La maestra è rammaricata dello spiacevole episodio che si è verificato ed è certa, in scienza e coscienza, di aver fatto tutto quanto era nelle sue possibilità per difendere gli alunni dallo sciame di vespe”, aveva replicato il legale della docente.
“Piuttosto – aveva contrattaccato l’avvocato della donna – perché quelle vespe, trovate nel bel mezzo del parco pubblico frequentato da bambini, non erano state segnalate dalle autorità?”.
A ben vedere, una segnalazione alle autorità è arrivata. Perché una parte di genitori degli alunni della classe non ne hanno però voluto sapere e di lì a qualche giorno, era il novembre dello scorso anno, hanno portato le loro accuse ai carabinieri. I quali hanno esaminato la situazione, raccogliendo lamentele e testimonianze sull’accaduto.
Quando sembrava che la donna fosse destinata alla sbarra e difendersi quindi dalle accuse in un’aula di tribunale, il “castello” delle accuse si è frantumato: il pubblico ministero ha infatti archiviato tutto.
Evidentemente, le prove portate dalle famiglie degli alunni non erano tali da poter avviare un processo penale nei confronti della maestra.
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