Attualità

Un’ora di italiano in più, un docente: no ad altre incombenze, sì a programmi diversi per indirizzo. Ha senso Dante al tecnico?

In questi giorni si è parlato moltissimo delle competenze degli italiani, che secondo uno studio Ocse sono di gran lunga inferiori anche solo in relazione con i diplomati finlandesi. Secondo lo studio le persone dai 16 ai 65 anni, una su tre, hanno capacità linguistiche o matematiche scarse o molto scarse, comunque insufficienti.

La proposta

Si è discusso anche della decisione di un liceo di Bologna di fare un’ora di italiano in più. “Ci siamo accorti che negli ultimi anni chi esce dalle medie ha molte lacune nella comprensione e nella redazione di un testo, i ragazzi mancano di adeguate competenze grammaticali e hanno una povertà lessicale che inficia l’andamento in tutte le materie, non solo quelle umanistiche”, queste le parole del dirigente scolastico.

Il docente di italiano Marco Ricucci, su Il Corriere della Sera, ha detto la sua, facendo una proposta: “Molte persone sono in grado di comprendere solo testi brevi e semplici, mentre faticano a estrapolare informazioni più complesse. Che cosa è dunque possibile fare per arginare questa emergenza nazionale delle competenze della lingua italiana, per far sì che il cittadino di domani sia più consapevole nell’esercizio dei suoi diritti e doveri?”.

Docenti stritolati dalla burocrazia

“Come docente di italiano, ho avuto già modo di fare varie proposte: dall’istituzione della ‘quarta media’, alla provocatoria abolizione dei Promessi Sposi, a una produzione scritta alternativa al tema tradizionale, eppure la tela è più intricata. Non basta aggiungere sempre nuove materie e incombenze per professori e studenti – come l’educazione civica, il Pcto (l’alternanza scuola-lavoro) e le soft skills – per di più in modo o indiscriminato, senza fare differenze tra i vari indirizzi della scuola superiore. Qual è l’assurdità? Meno tempo ha il docente di italiano di insegnare la sua materia, stritolato tra la burocrazia scolastica e attività come l’orientamento e così via, più i recenti manuali di letteratura italiana aumentano il loro spessore di pagine che mai saranno sotto gli occhi degli adolescenti di oggi”, ha aggiunto.

Ecco le sua idea: “Bisogna intervenire sulla didattica. Per esempio, facendo riferimento alla mia disciplina, l’italiano, mi chiedo: ha senso usare quel poco tempo che è rimasto per la lezione vera e propria per leggere Dante, in un istituto tecnico, mentre si potrebbe usarlo in maniera più produttiva, per esempio, per lavorare sulla comprensione del testo, sulla produzione scritta, sulla lettura di romanzi più comprensibili e più vicini alla sensibilità di oggi, rispetto agli ‘spiriti’ di Cavalcanti? E’ vero, come dice Calvino, che un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire, ma che senso ha voler inculcare agli studenti una lettura siffatta senza preoccuparsi che loro stiano ad ascoltare? La chiave, dunque, potrebbe essere la diversificazione dei programmi di lingua e letteratura italiana al triennio, in base all’indirizzo di scuola superiore, rivedendo l’approccio storicistico dello studio della letteratura italiana”.

I dati

Rispetto alla scorsa edizione dello studio Ocse in questione i risultati sono lievemente peggiorati, con un aumento del 7 per cento (dal 28 al 35) di coloro che non arrivano al livello sufficiente. Secondo il Piaac – che si è svolto nel 2022-23 su un campione di popolazione tra i 16 e i 65 anni in 31 Paesi e in Italia in particolare con un campione di 4847 adulti, rappresentativi di circa 37,4 milioni di persone – i risultati del nostro Paese sono al di sotto della media Ocse.

Se a questo si aggiunge che quasi un adulto su due (40 per cento) ha un’occupazione che non c’entra niente con quello per cui ha studiato e che il 18 per cento è sotto-qualificato per il lavoro che fa (la media Ocse è 9 per cento) e un altro 15 è troppo qualificato (media Ocse 23 per cento) ce ne è abbastanza per lanciare l’allarme.

I risultati in literacy, numeracy e problem solving

Per quanto riguarda la “literacy”, cioè la capacità di comprendere un testo, un adulto su tre (il 35%) ha ottenuto un punteggio pari o inferiore al livello 1 – la media Ocse è del 26 per cento – il che significa che “è in grado di comprendere testi brevi ed elenchi organizzati, quando le informazioni sono indicate chiaramente, e può individuare informazioni specifiche e identificare collegamenti rilevanti all’interno di un testo” (livello 1) o che “è in grado di comprendere, al massimo, frasi brevi e semplici” (sotto il livello 1). Se invece consideriamo gli adulti che hanno le competenze adeguate (livello 4 o 5 della scala Ocse), in Italia sono solo il 5 per cento contro una media internazionale del 12 per cento. 

Anche in “numeracy”, intesa come la capacità di calcolo, un adulto su tre (il 35%) è “low performer”, cioè fermo al livello 1 o anche sotto. La media dei Paesi Ocse è invece del 25 per cento. Queste persone sanno soltanto “fare calcoli di base con numeri interi o con il denaro, comprendere i decimali e identificare ed estrarre singole informazioni da tabelle o grafici, ma possono avere difficoltà con compiti che richiedono più passaggi (es. risolvere una proporzione). Quanti sono al di sotto del livello 1 sono in grado di sommare e sottrarre numeri piccoli”. Gli “high performer” (livello 4 e 5) in Italia sono soltanto il 6 per cento, meno della metà della media dei Paesi Ocse che si attesta al 14 per cento. 

Redazione

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