Gli attentati e le stragi consumatesi sul suolo statunitense di recente hanno riportato al centro la questione cruciale, con impatto politico devastante a livello locale e nazionale, della sicurezza nelle scuole e delle metodologie di contrasto a tale forma di criminalità estrema, espressione di varie forme di sofferenza repressiva degli attentatori, talvolta giovanissimi.
Costoro, di frequente, provengono da situazioni familiari complesse o disagiate dal punto di vista economico, dove uno o più dei familiari è disoccupato e fa uso di stupefacenti (assetto spiacevolmente comune in realtà come Texas e Georgia, che contano dati tuttora allarmanti). La scuola costituisce luogo educativo e di confronto con la complessità della vita e dei processi educativi causa lo sviluppo di complessi d’inferiorità che spesso si esprimono con patologie depressive o azioni violente.
Per ovviare tali spiacevoli e tragici atti si dovrebbe investire sulla cura sociale della popolazione, moltiplicando centri d’ascolto psicologico sul territorio ed assistenti sociali che supportino le famiglie nell’inserimento prima educativo e poi professionale dei ragazzi. Si preferisce, come di evince dai dati e dalle norme approvate, investire su mezzi di protezione e non di prevenzione quali armi.
Per via delle recenti stragi avvenute in Texas ed Ohio, sono numerosi i docenti che portano con loro armi di difesa in aula, in particolare presso gli istituti affollati come quelli delle omologhe elementari e medie. Dieci anni fa, era estremamente raro che i dipendenti scolastici quotidianamente portassero con sé armi offensive.
Oggi, dopo una serie apparentemente infinita di sparatorie di massa e stragi che hanno coinvolto diversi istituti in tutto il paese, la strategia è diventata una soluzione guida promossa da repubblicani e difensori della normativa che legittima l’utilizzo delle armi, i quali affermano che consentire a insegnanti, presidi e sovrintendenti di essere armati offre alle scuole una possibilità di difendersi di fatto dagli aggressori senza attendere l’intervento delle forze dell’ordine.
Almeno 29 stati consentono a persone diverse dalle forze di polizia, militari o dai funzionari di sicurezza di portare armi nei giardini delle scuole, secondo la Conferenza nazionale delle legislature statali. A partire dal 2018, l’ultimo anno in cui erano disponibili le statistiche effettive sul tema, i dati del sondaggio federale stimavano che il 2,6% delle scuole pubbliche avesse possibilità di difendersi con armi da aggressori esterni.
Le opinioni sono discordanti: alcuni docenti esprimono insicurezza in quanto non è provveduta alcuna formazione salvo in Florida (24 ore che generano polemiche tra i repubblicani) e ciò garantirebbe la crescita di azioni violente. Altri sostengono un’altra tesi, che riportano alla stampa: “Ci sentiamo semplicemente impotenti. Educare non è abbastanza.”
Il caso di un docente napoletano aggredito il 18 febbraio scorso ha generato polemiche nel Belpaese. Colpevole di aver ripreso i discenti, costoro si sono organizzati in una vera e propria spedizione punitiva, aggredendo il docente, soccorso poi dal 118.
Costui ha poi rivelato, in somma sintesi, la condizione di precarietà non solo salariale, ma anche legata alla sicurezza di un impiego sempre meno attrattivo: “Da anni ho cercato di lavorare nel settore spettacolo, ma, visto il poco lavoro degli ultimi tempi, ho deciso di sfruttare la mia laurea e fare qualche supplenza su Napoli e provincia. Ho insegnato in varie scuole per brevi supplenze, ricevendo elogi da docenti, presidi e alunni per il lavoro svolto – racconta sui social – negli ultimi 4 giorni ho svolto una supplenza breve nella scuola media in zona mia. Pensavo di essere stato fortunato. Non è stato così. Ho richiamato un’intera classe, una prima media, all’ordine, dal momento che facevano chiasso disturbando di continuo la lezione”.
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