Marco Dallari, La zattera della bellezza. Per traghettare il principio di piacere nell’avventura educativa, Il Margine, pp. 312, 18 euro, oltre a essere un libro di didattica, nel senso più ampio del termine, è anche un testo nel quale si parla di arte e letteratura, di pittori e letterati, di artisti insomma che hanno fatto delle loro creazioni punti di riferimento per contemplare la bellezza, viverla, goderla, entrare nei suoi misteri e rimanerne affascinati, rapiti in qualche modo.
Già il titolo stesso del libro, “la zattera” richiama la grande tela della “Zattera della medusa” di Théodore Géricault (1818-19),conservato nel Museo del Louvre di Parigi, nella quale i superstiti di un tragico naufragio cercano di sopravvivere ai marosi, in similitudine, seppure con premesse opposte, dell’umanità che se vuole salvarsi dovrebbe afferrarsi ai vascelli delle bellezza, del messaggio che ogni arte reca con sé e cosi andare oltre il codificato, il banale e dunque, per rimanere in tema, anche del kitsch, concentrandosi sulla visione della pura bellezza e nelle emozioni che essa può riuscire a suscitare.
Il messaggio dell’autore è tuttavia rivolto in prima istanza ai docenti e alla loro arte di insegnare, nel senso proprio di imprimere il “segno” del loro passaggio, creando il clima della “fabula” e dunque dell’affabulare di cui il docente deve essere il punto centrale: “Chi insegna- sottolinea Dallari- ha il dovere di essere bravo e la competenza comunicativa e narrativa è la prima qualità, sia in termini temporali che in termini contenutistici che l’insegnante-educatore mostra ai suoi allievi”.
Dunque appare indispensabile che il docente potenzi la dimensione estetica del proprio stile educativo e per tale ragione deve saltare su quella zattera, ma non per educare alla bellezza, quanto di usare la bellezza per educare, proponendo l’esperienza estetica ed emozionale dell’incontro, dello stupore, del desiderio, del piacere di sapere “riconoscere l’invisibile che si nasconde dietro la bellezza. Senza una parte nascosta, senza mistero, non c’è bellezza ma soltanto il suo stereotipo, la sua apparenza; nel considerare la bellezza non qualcosa di «già dato» ma qualcosa da ricercare, da costruire, da condividere”.
Un percorso di riflessione, questo libro di Dallari, utile ad accettare la sfida della complessità e a creare occasioni per scoprire il gusto della ricerca, della conoscenza, dello svelamento e del governo dell’universo emozionale.
Appare urgente, precisa ancora Dellari (già docente di Pedagogia e Didattica dell’Educazione Artistica presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna e Firenze, nonché professore straordinario di Pedagogia Comparata all’Università di Messina e professore ordinario di Pedagogia Generale e Sociale all’Università di Trento) che ciascun genitore, insegnante e educatore “recuperi e potenzi nel suo agire pedagogico la dimensione estetica, capace di risvegliare nei giovani la partecipazione, la curiosità e il piacere che troppo spesso si sono visti negare da una scuola impreparata a farsi carico dell’affettività e del desiderio”.
“Ebbene, io credo -scrive ancora Dallari- che fra gli obiettivi della formazione di quello traordinario Animal simbolicum (Cassirer, 1944) che è l’essere umano, dovrebbe essere contemplata l’educazione alla bellezza. E questo non, come potrebbe pensare qualcuno, per snobismo elitario, ma perché avere la bellezza come ideale di vita e possedere gli strumenti intellettuali per cercarla e riconoscerne le manifestazioni indica un modello di qualità della vita (individuale e collettiva) capace di sottrarre la sacrosanta aspirazione al benessere e alla gioia all’identificazione di questi ideali con il modello rudimentale e non di rado volgare del denaro, del consumo, del lusso”.
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