Dall’Esecutivo nazionale dell’USB – PI/Scuola riceviamo una lettera relativa ad un nostro precedente articolo.
La pubblichiamo con una precisazione relativa al numero dei manifestanti.
Non c’era alcuna intenzione di sminuire il peso e l’importanza dell’iniziativa, semplicemente il pezzo era stato scritto utilizzando le prime informazioni ricevute, mentre la manifestazione era ancora in corso. Se il dato finale è diverso, ne prendiamo atto e confermiamo quanto scritto: tenuto conto delle forze in campo si tratta certamente di un dato che deve far riflettere (r.p.)
il suo intervento riporta finalmente il dibattito sulla Scuola al livello politico che gli spetta e ci spinge ad alcune considerazioni che una testata di riferimento per tutto il mondo dell’Istruzione, quale è Tecnica della Scuola, avrà certamente la gentilezza di ospitare.
Della “due giorni” siamo stati protagonisti dall’inizio alla fine, provenienti dalle principali città italiane e da tutte le sue regioni. Abbiamo iniziato con il partecipato presidio al Miur del 21 mattina, con Unicobas e Usi. Abbiamo continuato intervenendo agli affollati dibattiti sulla difesa della Costituzione, sul No al Referendum e sull’Unione Europea e le sue politiche di austerità, del pomeriggio in Piazza San Giovanni, ribattezzata per l’occasione Piazza Abd Elsalam, in memoria dell’insegnante egiziano che, divenuto in Italia lavoratore della Logistica e militante dell’USB, è morto assassinato da un camion durante un picchetto di protesta contro lo schiavismo che imperversa in quel settore lavorativo.
C’eravamo, rumorosi e determinati, alla grande giornata di protesta di ieri insieme ai 40.000 lavoratori, di cui parlano tutte le agenzie di stampa, che hanno attraversato e riempito il centro di Roma.
Diciamo tutto questo perché è forse tempo – per il bene della Scuola – di abbandonare una prospettiva esclusivamente autoreferenziale, cogliendo il dato politico più significativo che viene dalle due giornate: il lavoro di ricomposizione dei comparti lavorativi, dei settori sociali, del mondo del lavoro negato, della precarietà e della privazione di diritti, dei migranti, del diritto all’abitare, ebbene questo lavoro di tessitura di una confederalità del mondo del lavoro e della società intera, che caratterizza il progetto di USB dalla sua nascita, comincia a dare frutti visibili e carichi di progettualità. Se ne sono accorti tutti, compresi i vecchi detrattori, che nicchiano infastiditi, ma non possono fare a meno di parlarne.
Che posto ha la Scuola nel quadro generale della lotta per il lavoro e lo stato sociale? Essa ha certamente un posto centrale, perché per sua natura essa attraversa trasversalmente la società ed è uno dei termometri più attendibili del grado di civiltà e democrazia di un paese. Lo hanno capito quei lavoratori (attendiamo i dati, ma anche qui non è immediatamente questione di numeri) che hanno scioperato il 21 ottobre nel settore, ma anche l’attenzione con la quale i lavoratori hanno seguito le assemblee di preparazione allo sciopero e alla manifestazione per il NO sociale al Referendum che abbiamo lanciato in diverse città d’Italia nelle settimane scorse ci dicono quanta attesa e quanto bisogno hanno i lavoratori della scuola di informazioni adeguate, di connettersi con altri lavoratori e di tornare a lottare come insegnanti e come cittadini.
E con questo veniamo al punto sintetizzato dal titolo dell’articolo, all’idea che il ventaglio di forze contro la buona scuola sia più ampio di quello sceso in piazza. Ma un fronte, lei lo saprà bene, non è una sommatoria. Dire che se ci fossero stati altri saremmo stati di più è da una parte un’evidenza, dall’altra significa però ostinarsi a non voler fare i conti con il 5 maggio dello scorso anno, che ha rappresentato la morte ingloriosa – ma prevedibile – del fronte di cui lei parla, perché ad esso è seguito da una parte il ripiegamento ormai abituale di CGIL (compresa la sua sinistra radicale!) CISL e UIL, e dall’altra parte l’inspiegabile insistenza dei Cobas nel rincorrere i cinque grandi sindacati complici per convocare uno sciopero mai avvenuto, salvo poi sostenere che non è più tempo di mobilitazioni nella scuola e lasciare la lotta unicamente alla raccolta firme di quei referendum in cui anche l’apporto della CGIL è stato quanto meno ambiguo (a voler usare un eufemismo).
Non ci interessano le diatribe rivolte al passato, ma i progetti per il presente: può essere sufficiente un’opposizione settoriale (sia pure nel settore più consistente del Pubblico Impiego), come pensano ancora alcuni compagni generosi ma sempre più ininfluenti? Può esistere un fronte con chi firma il contratto sulla mobilità che riconosce e sottoscrive la chiamata diretta? Può esistere un fronte con chi ogni giorno nelle scuole partecipa alla cogestione del Bonus di valutazione, all’idea di meritocrazia veicolata dalla finzione dell’Invalsi, ai fondi pensione privati e al mercimonio che presto vedremo sui corsi di formazione organizzati dagli enti accreditati dei sindacati collaborazionisti e complici?
Si poteva fare di più? Come sempre. C’è lo spazio politico per uno sciopero della scuola convocato dalla CGIL/Flc? Ma non scherziamo. I lavoratori dei sindacati che non hanno aderito allo sciopero noi in piazza li abbiamo visti, sappiamo che nelle nostre scuole si sono uniti a noi.
Questo è il desiderio di unità dei lavoratori che vogliamo provare ad interpretare, e che richiede indipendenza, coraggio e progetto di costruzione nella Scuola e ben oltre la Scuola. Cose troppo impegnative per chi continua a fare finta di essere sindacato.
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