Ha solo 33 anni Rutger Bregman, Autore di un libro che è da tempo un bestseller: “Utopia per realisti. Come costruire davvero il mondo ideale” (Feltrinelli). Testo da proporre agli studenti delle Superiori, come stimolo al pensiero critico nell’ambito del curricolo di educazione civica.
Storico e giornalista di successo, Bregman è olandese. Scrive su De Correspondent, giornale online di Amsterdam redatto da singoli corrispondenti, ognuno dei quali si occupa di uno o più temi specifici, senza dipendere da fonti d’informazione ufficiali.
Nel 2016 Bregman, pubblicando “Utopia per realisti”, ha avuto l’ardire di spiazzare il pensiero unico dominante in materia di politica economica e sociale (neoliberista ormai da quasi mezzo secolo). Il suo linguaggio è semplice, immediato, giovanile — quasi sbarazzino — e irriverente verso i dogmi economici e sociologici cui siamo ormai abituati credere come a verità di fede: quello del liberismo, ad esempio, che Bregman definisce «un’ideologia che è stata praticamente svuotata di senso». Infatti, «Qualunque cosa possiamo raccontarci della libertà di parola, i nostri valori sono sospettosamente simili a quelli reclamizzati dalle medesime aziende che possono permettersi gli spot in prima serata. Se un partito o una setta religiosa avessero anche solo una minima frazione dell’influenza che ha su noi e sui nostri bambini il settore pubblicitario, ci ribelleremmo. Invece, trattandosi del mercato, rimaniamo “neutrali”».
Studiando la Storia, scrive l’Autore, ci accorgiamo che mondi diversi dal nostro sono possibili, perché sono già stati realizzati: il passato «È l’unico posto in cui l’astratto diventa concreto, in cui possiamo vedere che stiamo già vivendo nella Terra dell’abbondanza». Nulla dunque è immutabile. Nemmeno il nostro modo di vedere le cose.
Ebbene, dai secoli in cui l’etica calvinista accese la miccia allo sviluppo travolgente del capitalismo, ci siamo abituati a pensare che il povero è tale perché lo ha meritato: perché è pigro o incapace; aiutarlo significherebbe renderlo più incapace o più pigro. Ma, si chiede Bregman, se lo Stato regalasse (a fondo perduto!) agli indigenti i denari necessari per uscire dall’indigenza, davvero spenderebbe più soldi di quanti ne deve spendere oggi per rimediare ai danni causati alla collettività dall’indigenza stessa? Danni cui tutti noi (con le tasse) dobbiamo porre rimedio finanziando polizie, tribunali, ospedali: perché emarginazione e povertà generano delinquenza, malattia, devianza, alcolismo, droga. E quand’anche qualcuno volesse infischiarsi di tutto ciò, almeno una volta nella vita si troverebbe a doverne fronteggiare gli effetti nel proprio privato.
Se vogliamo essere veramente “egoisti”, dunque, e “farci gli affari nostri”, dobbiamo eliminare la povertà, accettando l’idea che lo Stato aiuti — gratis! — i bisognosi a uscire dal bisogno. Infatti, chi non ha lavoro né casa non può avere “spirito d’iniziativa”, perché l’unico suo “progetto di vita” è «cosa mangio ora», «dove dormo stanotte», «come curo i miei figli». La Storia ha già ampiamente dimostrato che la genialità umana può esplicarsi soltanto quando tutti i bisogni fondamentali sono garantiti: salute, nutrimento, istruzione, alloggio, dignità, solidarietà. Chi vive nell’ansia non può certo brillare per intelligenza imprenditoriale: dunque chi è povero lo è in quanto povero, non in quanto stupido o inetto o infingardo.
Altro aspetto da considerare: chi è povero non può dare il proprio apporto al progresso comune. Quanti potenziali geni ci perdiamo, solo perché l’afflizione dell’indigenza quotidiana li obbliga a non pensare ad altro che al quotidiano sopravvivere? Quante menti non vengono coltivate perché devono pensare al pane quotidiano e a null’altro?
Una lettura stimolante, che spiega concetti complessi con tal semplicità da far capire persino agli adolescenti quanto la parola “democrazia” resti un concetto vuoto, se non sostanziato dalla concretezza di una politica socioeconomica concretamente democratica. Vuoto, se non si smontano i “dogmi” oggi imperanti. «Meritocrazia?», scrive Bregman; «Ben venga. Paghiamo finalmente la gente in base al suo vero contributo. Netturbini, infermieri e insegnanti dovrebbero avere un aumento sostanzioso di stipendio, ovvio, mentre qualche lobbista, legale o banchiere vedrebbe crollare i propri emolumenti». «Efficienza? Immaginate che cosa potrebbe ottenere l’eliminazione della povertà infantile. Risolvere questo tipo di problemi è parecchio più efficiente della loro “gestione”, che alla lunga costa molto di più». «Tagliare lo Stato-mamma? Esatto. Diamo a tutti il reddito di base, venture capital, capitale di rischio per il popolo, che ci permetta di tracciare la rotta della nostra vita». «Riforme? Cavolo, sì. Diamo una bella ripassata al settore finanziario. Smascheriamo e distruggiamo tutti i paradisi fiscali, in modo che i ricchi possano finalmente essere costretti a sganciare la giusta parte e i loro commercialisti possano fare qualcosa di utile».
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