La conoscenza dell’inglese (non “una” lingua straniera ma “la” lingua straniera) è una competenza fondamentale. Dominare questo idioma ci facilita la vita. Ci aiuta nelle piccole incombenze quotidiane (leggere istruzioni non tradotte in italiano, accedere ad informazioni…) come nelle occasioni speciali (viaggi, amicizie…). E’ uno dei requisiti maggiormente apprezzati in un curriculum.
Il sistema d’istruzione nazionale dovrebbe quindi garantirne l’apprendimento, sviluppando un percorso formativo fin dai primissimi anni (scuola dell’infanzia), tenendo presente che una vera competenza in lingua straniera si determina essenzialmente nella capacità di comunicare in modo disinvolto, spedito e adeguato al contesto.
Il che vuol dire: acquisire una pronuncia corretta (sorvolando sui vari accenti, per lo meno “non italianizzata”…), una base grammaticale sicura, un lessico ricco, registri comunicativi adeguati alle situazioni, la conoscenza delle frasi fatte, e pure la consapevolezza che la lingua (in particolare l’inglese) cambia velocemente nel tempo.
La mia opinione è che il nostro sistema scolastico non sia attrezzato ad offrire questo percorso.
I recenti dibattiti sull’argomento, complice un Ministro non troppo informato, stanno generando sempre più confusione e false aspettative nelle famiglie. Si distoglie l’attenzione dalla situazione attuale, che va “curata” prima di aggiungere altro. Ben venga il Clil (cioè l’insegnamento di una o più materie curricolari in lingua straniera), quando avremo sanato gli errori, devastanti, degli anni passati.
L’introduzione di una lingua straniera alla primaria risale ai programmi dell’85. In quegli anni partirono molte sperimentazioni, in particolare promosse dagli allora Irrsae (Istituti regionali ricerca attività educative, poi soppressi) sull’insegnamento precoce delle lingue straniere e si iniziarono ad attivare percorsi all’interno delle scuole elementari. L’inglese fu generalizzato come L2 nel 2003 con la Riforma dell’allora ministro Moratti, che con un provvedimento del tutto incoerente avviò allo stesso tempo l’eliminazione progressiva dei docenti “specialisti”. La riforma Gelmini, nel 2008, completò l’opera, gettando a mare vent’anni di esperienza, buone pratiche e competenze dei docenti
Da qualsiasi angolazione la si voglia vedere, questo è il nodo centrale; il problema da risolvere se davvero si punta su uno sviluppo delle competenze che raggiunga gli obiettivi sopra descritti.
Gli “specialisti”, a differenza degli “specializzati”, sono docenti che svolgono in toto il loro servizio insegnando inglese in più classi. Gli specializzati, per contro, in un concetto di unicità della docenza, insegnano, oltre a tante altre materie, “anche” l’inglese. Va da sé che gli specialisti siano stati e siano in larga misura buoni esperti, laureati in lingue, o comunque docenti che hanno sviluppato una competenza specifica nel loro percorso di studi, con esperienze all’estero o nei progetti europei.
In applicazione alle riforme Moratti e Gelmini, siamo arrivati ad una situazione di progressivo abbassamento della qualità in quest’ambito. Si è tolta la possibilità ai veri esperti di coprire l’insegnamento dell’inglese in più classi. Paradossalmente, si è determinato un danno che non ha fatto risparmiare nulla allo Stato. Il calcolo dell’organico della primaria è infatti frutto di un’operazione molto semplice: ore di scuola complessive nei plessi di un istituto, diviso 22 ore di servizio (cattedra). Che le cattedre siano di inglese o su posto comune non cambia nulla.
Se si vuole davvero colmare lo svantaggio e fare in modo che i nostri ragazzi siano aiutati a conoscere sufficientemente le lingue, e l’inglese in particolare (come afferma il documento), bisogna intervenire con urgenza modificando gli errori e le dimenticanze del passato.
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