I professori sono dunque in vacanza dal 21 dicembre al 6 gennaio e con loro gli alunni, discretamente oberati di compiti in modo che passino questa parentesi natalizia lambiccandosi d’ansia, alla ricerca del momento adatto per le versioni o la ripetizione del programma o altra incombenza lasciata dai docenti.
Una ritualità che per un verso si ostina ignorare i tempi del terzo millennio e dall’altro mette in pace la coscienza di tanti docenti che potranno sempre dimostrare, registro alla mano, di avere fatto il possibile per promuovere la classe, se gli esiti finali sono negativi.
Ma qualcuno carica di compiti nella convinzione che la lunga pausa natalizia possa cancellare quella porzione di programma che si è fatto nei primi tre mesi di lezione; che è una teoria alquanto balzana perché si dà per scontato, così ragionando, che i saperi appresi in classe siano appiccicaticci e quindi utili solo per la contingenza delle interrogazioni e del voto.
Una distanza forte dal vero obiettivo dell’istruzione che in quel modo probabilmente diventa pure un fardello, un carico fastidioso imposto perfino durante le vacanze e proprio perché non è, quello studio, una libera scelta in un momento di pausa.
D’altra parte è stato dimostrato che il lavoro più utile è quello fatto in classe, mentre in Canada una famiglia ottenne perfino dal tribunale la cancellazione dei compiti per casa, basandosi proprio sul principio che essi fossero un atto di imperio della scuola sull’alunno.
E se i ragazzi studiano durante le vacanze cosa fanno i professori? Loro tuttavia sono pagati per fare didattica e mancando i destinatari, in estate soprattutto, non sono tenuti a venire a scuola, benché all’inizio dell’anno scolastico si possa pure stabilire collegialmente il rientro: ma per fare che cosa?
Qualche preside, preso da furore manageriale, ha imposto ai docenti di venire dopo la chiusura estiva (generalmente per tutto giugno e tutto settembre) delle scuole per programmare il lavoro futuro, altri per il piacere di vederseli attorno, altri ancora per sistemare carte, ma violando così la norma che demanda proprio al collegio ogni decisone che riguardi attività alternative all’insegnamento.
Tuttavia il Miur, e questo Governo del centrosinistra renziano, invece di dare il bonus di 500 euro per l’aggiornamento, fatto mai registrato nella storia della Repubblica, avrebbero potuto implementare corsi di aggiornamento professionale obbligatorio di vario tipo e organizzazione.
Corsi come quelli che sono stati ventilati negli ultimi venti anni da taluni esponenti politici e da parecchi osservatori della società italiana: renderli fruibili durante la chiusura estiva delle scuole, per coloro che non sono impegnati negli esami.
Una scelta impopolare, certamente, ma forse minacciosamente ancora appostata dietro l’angolo.
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