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Vacanze troppo lunghe non fanno bene alla scuola

Al di là di polemiche e smentite sulla proposta (subito ritirata) del premier Monti di consentire solo un mese di vacanze estive alle scuole, il tema, per il suo impatto sulla intera popolazione, merita la dovuta attenzione.
In Italia le ore totali di insegnamento sono di più che in altri paesi. I i nostri studenti hanno più ore di scuola rispetto alla maggior parte dei paesi Ocse. Allo stesso tempo però siamo, tra i paesi dell’Unione Europea, uno di quelli che fa la pausa più lunga durante l’estate.
Tali affermazioni sono regolarmente suffragate da grafici assolutamente puntuali e di rigore scientifico, quindi non c’è nulla da dubitare. Praticamente mentre, per esempio, in Finlandia i ragazzi stanno a scuola circa 750 ore l’anno, in Italia andiamo a quasi 900 ore l’anno.
I dati si riferiscono alla media delle ore totali di insegnamento annuali ricevute dagli studenti (di età tra i 7 e gli 8 anni, tra i 9 e gli 11 anni, tra i 12 e i 14 anni, 2010).
A fronte di ciò, continua l’esame della Voce.info gli insegnanti italiani sono pagati meno della media Ocse, anche se a giugno e luglio sono retribuiti come se avessero normale orario scolastico.
Una volta completate varie attività (consigli di classe, debiti formativi, esami per gli studenti dell’ultimo anno), i docenti sarebbero quindi a disposizione per il resto di luglio e per i primi giorni di settembre. C’è poi il fattore clima: è impensabile un sistema di apprendimento in un’aula con 40 gradi, temperature non rare a luglio e ad agosto al Sud e in molte grandi città italiane. Dotare tutti gli istituti di sistemi d’aria condizionata è utopia visto che molti edifici scolastici cadono letteralmente a pezzi.
Ciononostante le vacanze e in particolare la lunga pausa estiva comportano una serie di criticità, soprattutto per le famiglie più svantaggiate. Sia per i genitori che per i figli.
L’apprendimento durante le vacanze
Per i genitori la questione è ovvia: un nucleo famigliare in cui entrambi i genitori lavorano – e ancor più un genitore single – ha seri problemi di organizzazione durante i periodi di vacanza scolastica. Solitamente la rete di sostegno è basata sui nonni, ma non è scontato che siano ancora in vita, o in grado di occuparsi dei nipoti per un lungo periodo. L’impatto economico per le famiglie a basso reddito può quindi essere rilevante. L’obiezione a questa osservazione è che il compito della scuola pubblica, soprattutto se alle prese con continui tagli, non è guardare i figli perché i genitori possano lavorare, ma offrire loro una formazione adeguata ed equa.
E per i figli? La letteratura accademica è ricca di studi che documentano l’impatto delle ferie sull’apprendimento. Il risultato è preoccupante: gli studenti delle famiglie più svantaggiate subiscono le conseguenze in modo maggiore rispetto agli studenti delle famiglie benestanti.
Lo studio che copre più paesi è di Victor Lavy, che analizza l’impatto delle ore a scuola sui ragazzi di 15 anni in circa cinquanta dei paesi che partecipano ai test Pisa dell’Ocse.
Il risultato è che l’effetto di un maggior numero di ore scolastiche è forte e positivo, soprattutto per le bambine, per gli alunni con basso status socioeconomico e per gli immigrati.
Una ricerca condotta nel 2011 dalla Rand Education e laWallace Foundation negli Stati Uniti – paese con uno dei calendari scolastici più leggeri a livello internazionale e con tre mesi di vacanze estive – ha provato a stimare l’effetto sul livello di apprendimento.
Ne risulta che la perdita delle conoscenze durante l’estate non è equa e contribuisce in maniera determinante ad accentuare nel tempo il gap di apprendimento fra allievi poveri e benestanti.
La discrepanza si forma principalmente durante i mesi delle vacanze estive. Se nel periodo invernale i risultati dei bambini con alto status socioeconomico (Sse) sono comparabili a quelli degli altri alunni, durante le vacanze estive migliorano, quando invece rimangono costanti, se non negativi, per il resto degli studenti.
Le ragioni possono essere molteplici: una famiglia più ricca è in grado di offrire al figlio maggiori canali di istruzione alternativi, come corsi di lingua, di musica, viaggi e altre svariate forme di arricchimento socioculturale a cui il bambino di basso reddito ha meno possibilità di accedere.
Il fenomeno comincia a essere sempre più analizzato e inserito nelle agende politiche: nel 2008 nel Regno Unito – dove il fattore climatico è marginale – è stata varata una riforma del calendario scolastico con “dispersione” dei giorni di ferie e sole sei settimane di vacanze estive.
In Francia, Francois Hollande si è detto favorevole ad aumentare i giorni di scuola da quattro a quattro e mezzo (attualmente il mercoledì è di riposo e negli altri giorni l’insegnamento è esteso al pomeriggio).
Negli Stati Uniti, già nel suo primo mandato, Barack Obama aveva affrontato la questione, dichiarando: “non possiamo permetterci un calendario scolastico programmato quando l’America era ancora una nazione di contadini che avevano bisogno che i loro figli aiutassero a lavorare la terra. Al giorno d’oggi un calendario di questo tipo è uno svantaggio competitivo […] le sfide del nuovo secolo richiedono più tempo in classe”.
In Italia le infrastrutture fatiscenti e il basso livello di retribuzione degli insegnanti rendono il problema spinoso visto che, in un contesto di continui tagli, non è possibile fare proposte che pesino sul bilancio dello Stato.
In ogni caso, l’evidenza empirica mostra che se si riducono i lunghi periodi di vacanza, si ottengono non solo benefici per le famiglie meno abbienti, ma anche una riduzione del gap di apprendimento tra allievi benestanti e poveri. In un paese con bassa natalità e scarsa mobilità sociale non sono certo fattori trascurabili.

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