Sono una fervente pro-vax, e appena mi faranno vaccinare, lo farò con entusiasmo, lo farei anche domani e non ho bisogno dell’appello del presidente Mattarella o della paventata (e subito ritirata) proposta di obbligatorietà del vaccino per i dipendenti pubblici.
Il mio entusiasmo verso la scienza si smorza subito, quando, sapendo di non essere ultraottantenne, né ultrasessantenne, né lavoratrice fragile, ma una semplicissima insegnante che entra in classi di 30 ragazzi adolescenti, scopro che il mio turno di vaccinazione sarà a luglio-agosto (quando, peraltro, non potrò neanche fare le ferie perché mi dovrò tenere a disposizione per la data del vaccino).
Al penultimo posto, prima di “tutto il resto della popolazione che non ha ancora avuto la possibilità di vaccinarsi”.
Sono certa che il primo turno spetti a medici e operatori sanitari, ma che gli insegnanti si vaccinino ad anno scolastico finito, questa proprio non me la aspettavo.
Rientreremo a gennaio con le solite aule piccole, i ragazzi appiccicati, le finestre adesso più chiuse perché fuori non ci sono i 20 gradi di ottobre. Non potremo probabilmente fare intervallo e attività all’aperto come abbiamo fatto in autunno. I nostri ragazzi, adolescenti con la voglia di contatti umani, cercheranno la loro vita di uscite pomeridiane a gruppo, feste di compleanno negli appartamenti e quanto altro.
Ma non era palese che la priorità alla vaccinazione andasse a persone che hanno contatti quotidiani con 100 e più ragazzi? Contatti anche prolungati, non i 5 minuti di un cassiere o un impiegato di ufficio pubblico, ma tante persone tutte insieme in un unico ambiente per almeno un’ora.
Sono amareggiata, 20 anni di servizio nella scuola e tanta dedizione, arrivata in questo ultimo anno a livelli che solo chi insegna conosce, e tante belle parole sull’importanza della scuola e il valore degli insegnanti, e poi…non mi viene neanche riconosciuto il diritto alla salute.
Glinda Binetti
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