I contagi da Covid rimangono alti, c’è chi ha diritto a vaccinarsi prima di altre categorie, ma non può. Perché vi sono casi in cui la burocrazia vince sulla ragione. È la storia paradossale, un racconto italian style, che il protagonista, un insegnante di una scuola superiore di Roma, ci ha messo a disposizione alla ricerca disperata di una soluzione: colpito da qualche anno da una malattia importante, una patologia maligna, certificata con Legge 104 art. 3 comma 3 e poi comma 1, sta cercando da mesi di vaccinarsi senza successo.
Perchè AstraZeneca gli è stato sconsigliato, anche dal suo medico di famiglia; dovrebbe allora ricevere la dose prodotta da Moderna o Pfizer. Ma questi due vaccini per lui diventano quasi “irraggiungibili”.
E nel frattempo il docente deve recarsi al lavoro, a scuola, perchè la sua patologia non è tale da giustificare lo smart working, anche in tempo di pandemia.
Certo, di fatto è un lavoratore “fragile”. Peccato che il suo codice di esenzione, lo 048, non sia contemplato tra quelli dei malati fragili utili per la prenotazione on line.
Il nostro insegnante si informa. Gli dicono, per fare prima, di rivolgersi direttamente all’ospedale dove è in cura per la sua patologia, ma la struttura è collocata in una regione diversa da quella dove risiede. Quindi, non è stato e non sarà mai chiamato da quel nosocomio.
L’ultima “spiaggia” è allora il medico di base, che è tenuto a segnalare l’impellenza alla Asl. Il prof fa così e viene quindi collocato nella lista dei malati “fragili” che lo stesso medico invia alla Asl.
Oramai da quella richiesta all’Azienda sanitaria locale sono passate diverse settimane, ma siamo ad aprile, con un quinto degli italiani già vaccinati, e nessun funzionario della Asl ha mai risposto.
Il nostro prof è affranto. Anche perché dopo una pausa di tre settimane, dovuta alla dad forzata prima e alle vacanze pasquale poi, tra poche ore ricomincerà lavorare con gli alunni in presenza, prima al 50 e poi al 75%.
Ci ha manifestato tutta la sua perplessità: “non mi sento sicuro – racconta alla Tecnica della Scuola – perché in classe spesso devo richiamare gli studenti, visto che hanno la mascherina abbassata, qualche volta si abbracciano, non rispettano il distanziamento sociale”.
“Tra miei studenti – continua il prof di scuola superiore – vi sono anche disabili di una certa gravità, che non di rado si avvicinano viso a viso, e tentano il contatto fisico mettendo a repentaglio la loro e la nostra salute”.
Le sue parole sono in qualche modo confermate da diversi esperti virologi, secondo i quali i rischi scuola di prendere il Covid non sono poi così ridotti, perché non c’è stata nessuna nuova protezione rispetto all’ultimo periodo e purtroppo è dimostrato che gli alunni veicolano particolarmente le varianti del Covid.
Tanto che la professoressa Maria Chironna, responsabile del laboratorio Covid del Policlinico di Bari, su facebook si chiede: “che cosa è cambiato rispetto a pochi giorni fa? Ci sono le condizioni per la riapertura? I tassi di incidenza di Covid19 sono tali, a livello nazionale e regionale, da consentirci la riapertura senza ripercussioni sui contagi? Cosa si è fatto per assicurare una scuola in presenza sicura per tutti?”.
La domanda da fare pubblicamente è allora molto semplice: quando arriverà il momento di convocare questo insegnante per vaccinarlo, evitando di rendere ancora più complicata la vita per la malattia che deve combattere? Perché un cittadino a cui il Covid-19 potrebbe creare reazioni anche molto pericolose per la salute, deve attendere così tanto tempo ed esporsi ad un rischio così grande?
Qualcuno dovrebbe rispondere: il tempo dell’attesa è scaduto.
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