Riceviamo e pubblichiamo dal professore Massimo Gentile delle considerazioni del giurista Stefano Rodotà sul tema della libertà dei cittadini, tratto da Il diritto di avere diritti: una passaggio che può risultare utile in questa fase di dibattito e confronto sul tema dell’obbligo vaccinale che si vorrebbe imporre tra il personale scolastico e addirittura tra gli studenti con più di 12 anni.
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Facciamo un salto di più di sette secoli, e giungiamo ai primi mesi del 1947, quando l’Assemblea costituente discute e approva l’art. 32 della Costituzione, dove il tema della costituzionalizzazione della persona si manifesta con particolare intensità. Dopo aver considerato la salute come diritto fondamentale dell’individuo, si prevede che i trattamenti obbligatori possano essere previsti soltanto dalla legge, e tuttavia la stessa legge «non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana».
È, questa, una delle dichiarazioni più forti della nostra Costituzione, poiché pone al legislatore un limite invalicabile, più incisivo ancora di quello previsto dall’art. 13 per la libertà personale, che ammette limitazioni sulla base della legge e con provvedimento motivato del giudice. Nell’art. 32 si va oltre. Quando si giunge al nucleo duro dell’esistenza, alla necessità di rispettare la persona umana in quanto tale, siamo di fronte all’indecidibile. Nessuna volontà esterna, fosse pure quella coralmente espressa da tutti i cittadini o da un Parlamento unanime, può prendere il posto di quella dell’interessato.
Siamo di fronte a una sorta di nuova dichiarazione di habeas corpus, a una rinnovata autolimitazione del potere. Viene ribadita, con forza moltiplicata, la già ricordata promessa della Magna Carta. Il corpo intoccabile diviene presidio di una persona umana alla quale «in nessun caso» si può mancare di rispetto. Il sovrano democratico, una assemblea costituente, rinnova a tutti i cittadini quella promessa: «non metteremo la mano su di voi», neppure con lo strumento grazie al quale, in democrazia, si esprime legittimamente la volontà politica della maggioranza, dunque con la legge.
Anche il linguaggio afferma la singolarità della situazione, poiché è la sola volta in cui la Costituzione qualifica un diritto come «fondamentale», abbandonando l’abituale riferimento all’inviolabilità (tratto da: Il diritto di avere diritti).
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