Il lavoratore dipendente, in particolare del settore pubblico e dei servizi essenziali, quale la scuola, può essere licenziato se rifiuta il vaccino?
Ha gettato l’amo della discussione il giurista Pietro Ichino in un’intervista al Corriere della sera, ripresa da tutti i media, sostenendo la tesi del licenziamento per il dipendente pubblico che rifiuta il vaccino. Sono subito seguiti altri interventi, che contribuiscono a rendere la discussione di tendenza, anche se, al momento, puramente teorica, perché il vaccino è facoltativo e la campagna vaccinale ancora al livello “simbolico”.
L’argomento però potrebbe diventare decisivo qualora l’adesione alla vaccinazione fosse troppo bassa, specialmente fra le categorie di lavoratori considerate più esposte.
Secondo il professore, rendere il vaccino obbligatorio contro il Covid “non solo si può, ma in molte situazioni è previsto”. L’articolo 2087 del codice civile lo consente, perché obbliga il datore di lavoro ad adottare tutte le misure suggerite da scienza ed esperienza, necessarie per garantire la sicurezza fisica e psichica delle persone che lavorano in azienda. In questo momento non è ancora possibile vaccinarsi, ma, via via che la vaccinazione sarà ottenibile per determinate categorie, “diventerà ragionevole imporre questa misura, finché l’epidemia di Covid sarà in corso”.
È vero che l’articolo 32 della Costituzione dice che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, ma, se il rifiuto della vaccinazione metterà a rischio la salute di altre persone, questo rifiuto “costituirà un impedimento oggettivo alla prosecuzione del rapporto di lavoro”. Insomma, dice il giurista, “finché c’è un rischio apprezzabile di contagio, il datore di lavoro può condizionare la prosecuzione del rapporto alla vaccinazione. E altrettanto possono fare le compagnie aeree, i titolari di ristoranti, o di supermercati”.
“Attualmente non è possibile costringere un lavoratore a sottoporsi a vaccinazione, ma se non lo fa va può essere destinato ad altra mansione”. “Se l’infermiere della Rsa non si vaccina, non sarà più idoneo”: lo dice chiaramente l’ex magistrato esperto di sicurezza sul lavoro, come riportato da vari giornali.
Quali sono le argomentazioni? “Le norme sulla sicurezza sul lavoro sono chiare: ci sono obblighi per i datori di lavoro e conseguenze per i dipendenti che si rifiutano“. L’art. 279 del Testo Unico della Sicurezza sul Lavoro, argomenta Guariniello, impone al datore di lavoro di mettere a disposizione “vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all’agente biologico [il Covid-19], da somministrare a cura del medico competente”. Pertanto, dal momento in cui è a disposizione il vaccino, il datore di lavoro è tenuto a metterlo“a disposizione” dei dipendenti privati e pubblici. Il che non significa obbligatorio. Tuttavia, continua Guariniello, “la stessa norma impone al datore di lavoro l’allontanamento temporaneo del lavoratore in caso di inidoneità alla mansione su indicazione del medico competente”. Ma solo “ove possibile”. E se la ricollocazione non è compatibile con l’assetto organizzativo? “Il datore di lavoro è obbligato a predisporre misure organizzative per tutelare il lavoro, ma se questo non è possibile si rischia la rescissione del rapporto di lavoro”.
Insomma potrebbe profilarsi una giusta causa di licenziamento per il lavoratore che rifiuta la vaccinazione. “La sorveglianza sanitaria non serve solo a tutelare il singolo lavoratore – conclude il magistrato – ma anche tutti gli altri. La Corte Costituzionale lo ha ribadito più volte: la tutela della salute è un diritto dell’individuo e un interesse della collettività”.
Avvocato giuslavorista e componente del Consiglio di presidenza della Corte dei Conti, Gabriele Fava è intervenuto sul sito formiche.net. La questione è complessa, spiega, ed esige necessariamente un bilanciamento fra diversi interessi tutti garantiti dalla Costituzione: il diritto alla salute individuale, la limitazione dei trattamenti sanitari obbligatori a quelli definiti tali da apposita norma di legge, la tutela della salute pubblica (art.32), la libertà d’impresa (art. 41). L’art. 2087 del codice civile impone al datore di lavoro l’obbligo di porre in essere tutte le misure necessarie ai fini della salvaguardia di un ambiente di lavoro sicuro e salubre, tra le quali, senza dubbio, rientra il vaccino anti Covid-19.
La sentenza n. 258/1994 della Corte Costituzionale, osserva Fava, stabilisce un orientamento volto a contemperare il diritto alla salute del singolo con il diritto alla salute della collettività. “Un provvedimento normativo, volto a imporre uno specifico trattamento sanitario, può essere prescritto unicamente laddove lo stesso trattamento sia diretto non solo a migliorare o preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale”.
Quindi, serve prima una legge improntata a tali principi. In secondo luogo, la concreta possibilità di licenziare il dipendente che rifiuta il vaccino è relativa alle condizioni di lavoro. Se in certi ambienti la somministrazione dei tradizionali Dpi può essere sufficiente, in altri ambienti caratterizzati da un rischio più elevato di contagio (strutture sanitarie, scuole) “il trattamento vaccinale potrebbe rivelarsi il presidio maggiormente idoneo ad escludere il rischio di contagio con conseguente possibilità di sanzioni disciplinari per i lavoratori i quali rifiutino di sottopor visi”.
“La possibilità di trattamenti sanitari obbligatori è prevista dalla Costituzione, ma richiede una legge”, è chiaro il nuovo presidente della Corte Costituzionale, Giancarlo Coraggio. E, per fare una legge o un decreto legge, “in primo luogo, serve la certezza dei dati scientifici, in secondo luogo, è necessaria l’accertata indispensabilità, per la tutela della salute e della vita dei cittadini, di un così pervasivo intervento”.
Per adesso insomma l’obbligo è “morale”, e quindi un licenziamento per giusta causa del dipendente che rifiuta il vaccino andrebbe incontro a qualche problema. Ma in futuro la situazione potrebbe evolversi.
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