Non sono un insegnante e non lavoro nella scuola. Sono semplicemente un genitore che si è impegnato in questi anni nel sociale in particolare come presidente di una associazione di volontariato il cui obiettivo è quello di supportare le famiglie e in particolare i ragazzi con difficoltà di apprendimento.
Trovo inaccettabili e da respingere al mittente le dichiarazioni del neo ministro dell’Istruzione e del “Merito”
“…quel ragazzo soltanto lavorando per la collettività, per la comunità scolastica, umiliandosi anche, l’umiliazione che è un fattore fondamentale nella crescita e nella costruzione della personalità, di fronte ai suoi compagni è lui lì che si prende la responsabilità dei propri atti e fa lavori per la collettività. Da lì nasce il riscatto, da lì nasce la maturazione, da lì nasce la responsabilizzazione”. (Giuseppe Valditara, Ministro dell’Istruzione e del Merito)
A proposito del carattere terapeutico dell’umiliazione, richiamato dal ministro Valditara che, a stretto giro di posta si è scusato poi per le sue affermazioni, vi è da osservare che se fosse veramente reale e avesse una certa consistenza, tanto da essere preso in considerazione dal dicastero dell’istruzione e del famigerato “merito“, ci troveremmo davanti ad una vera e propria rivoluzione dei principi educativi.
Umiliazione come forca caudina evolutiva, come passaggio ineluttabile per lo studente che non studia, che sbaglia, che diserta le lezioni e, quindi, viatico di una formazione che vive della coercizione, dell’imposizione etica, che impedisce all’errore di essere una leva per trarre empiricamente beneficio dall’esperienza fallace.
Il ministro si sarà pure scusato, ne va preso atto, ma ciò che ha detto lo pensa.
E’ il suo linguaggio anche politico con cui si traduce una parte dell’azione di governo, non certo limitata al solo campo dell’istruzione pubblica e di quella meritocrazia che somiglia sempre più ad un sinonimo dell’umiliazione apparsa sulla scena con una fulminea e deflagrante perturbazione delle coscienze.
Qui siamo proprio all’ABC dei fondamenti etici del diritto. Torniamo molto più indietro di don Milani e della Montessori. Torniamo a Cesare Beccaria, all’Illuminismo che rischiari un po’ i cerebri depennasti di una destra di governo che ha nella sua conformazione genetica la predisposizione alla punizione come atto catartico, come contrappasso tanto delle idee quanto dei comportamenti.
Se lo studente sbaglia, gli tocca l’umiliazione, una moderna gogna, senza essere messo in groppa ad un asino, senza indossare il cappello a punta alla Pinocchio, ma dovendo sopportare il giudizio etico, superiore di chi non sbaglia.
E chi è che non sbaglia mai? Nessuno. Il richiamo, quindi, all’umiliazione come transumanza dell’incoscienza dentro un cammino di purificazione dantesca, fa pensare che la destra abbia in mente di sollevare sempre più l’orpello su una sorta di feticismo di Stato che, oltre tutto, legherebbe molto bene con l’idea che ha del lavoro e della povertà che deriva dallo sfruttamento della mano d’opera, così come delle menti.
Se la colpa è un dato di fatto, e se l’unico modo per espiarla non è la condivisione, il dialogo, lo scambio delle esperienze, bensì l’umiliazione, siamo certo che da tutto questo lo studente ne tragga un arricchimento personale? O piuttosto non si incattivisca ulteriormente, non rifiuti il rapporto sociale, con chi lo circonda, con le istituzioni scolastiche, con il mondo del lavoro e divenga sempre più guardingo nei confronti del resto del mondo?
Quando un ragazzo sbaglia nel rivolgersi malamente al suo insegnante, nel prenderlo ripetutamente in giro, oppure nel bullizzare i suoi compagni di scuola, prendendosela con i più deboli, l’insegnamento che gli dobbiamo consegnare non è la stessa umiliazione che lui ha fatto vivere ad altri.
Nemmeno sotto forma di lavoro socialmente utile. Perché se un lavoro di questo tipo viene dato con lo scopo di degradare il morale di un giovane, piegandolo ad una sorta di pentimento religiosamente inteso, il passaggio successivo sarà sempre e soltanto vincolato a due interpretazioni: il timore dell’autorità o l’aperta ribellione ad essa.
E, francamente, fra queste due opzioni, non fosse altro che per una presa in carico della propria vita e della propria coscienza critica, ci si deve augurare che quel ragazzo o quella ragazza scelgano di essere liberi il più possibile
ribellandosi a chi vorrebbe insegnare loro che un errore, piccolo o grande che sia, si corregge solo con la sofferenza, con il sottomettersi e il patire e non con il cercare insieme una soluzione.
E’ evidente che nemmeno il ministro intendeva, parlando di umiliazione, arrivare a queste conclusioni. Tuttavia, siccome una lettura critica di quel discorso va fatta, non si può non farla fino in fondo, considerando tutti i più minuziosi aspetti, le più impensabili conseguenze che avrebbe l’adozione di un comune sentire in merito, di un adeguamento abitudinario a questi standard punitivi da parte delle presidenze scolastiche, ispirate da un’etica manifestata dagli esponenti dell’esecutivo.
Chi governa un paese, una nazione, quindi un popolo, dovrebbe avere ben chiaro che non esistono soltanto le leggi come punto di riferimento per la pubblica amministrazione nel far adeguare i cittadini alle norme di comportamento generali.
Esistono anche gli “esempi” personali, le parole dette ed anche quelle non dette, che spesso sono molto più incisive del diritto nell’arrivare allo scopo che variamente (e con una certa presuntuosa e pelosa vaghezza) si prefiggono: se chi governa intende far passare come ispirazione comune un determinato messaggio, ha tutto il diritto di farlo, ma deve prendere in considerazione tutte le implicanze che ciò comporta.
La Costituzione dovrebbe essere sufficiente a tutelare tutte e tutti dalla trasformazione esiziale e perniciosa della Repubblica da forma di Stato laico e plurale a Stato etico e magari pure confessionale. Al momento abbiamo ancora un sufficiente quantitativo di anticorpi che ci consentono di solleverai contro questi eccessi governativi, proponendo una altezza della protesta che diventa insormontabile per i ministri singoli e per l’esecutivo intero.
Ma il Ministro sappia che se c’è un Paese che ha votato per Meloni e le destre. C’è anche un Paese che è maggioranza in questo frangente e che non è disposto a seguire il governo nero sul terreno della retrocessione dei diritti tutti nel nome dell’osservanza dei doveri. I diritti sono tali se i doveri non li scavalcano, se qualcuno non stabilisce che per poter godere di un diritto si deve per forza ottemperare ad un dovere.
L’idea di crescita personale, di formazione del cittadino (sarebbe più giusto dire di sviluppo dell’”essere umano“) che hanno i costoro che sono al governo è fondata su una meritocrazia esasperata e, di contro, su una umiliazione di chi non raggiunge lo scopo, di chi non riesce a stare al passo con le esigenze che il mercato reclama.
La povertà torna ad essere responsabilità soltanto del povero, così come la violenza scolastica diventa un fatto esclusivo dello studente che sembra poter essere astratto dal contesto, alienato a sé stesso in una separazione tra singolo e collettività: il primo giudicato e la seconda giudicante sulla scia della controetica immorale di governo.
Questa è una forma di decostruzione della solidarietà sociale e del tessuto anche morale, civile e civico che proprio la Costituzione ci insegna a mantenere da settantasei anni a questa parte come fondamento del patto repubblicano.
Ogni volta che un ministro si esprime nei termini che abbiamo ascoltato e che ogni volta che assume una postura etica, fa un torto al suo ruolo, nonostante possa dire di star semplicemente mettendo in pratica le politiche in cui il governo crede.
Il nostro dovere di cittadini, di genitori, di insegnanti è di dirgli che sbaglia, rivendicando la pienezza dei diritti sociali, civili e morali fino a chiederne le dimissioni.
Giorgio Franco, presidente Disleporedia
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