Quando diciamo che i nostri sono tempi confusi, affermiamo una verità palese. Non sono confuse soltanto le persone comuni; anche i ministri non hanno spesso le idee chiare, soprattutto quando, per risalire una china scivolosa, devono per forza entrare in contraddizione con sé stessi. Fra i ministri attuali il professor Giuseppe Valditara è ben piazzato, quanto a retromarce e revisione delle proprie posizioni.
Prima “novità”: trasformare le sanzioni disciplinari in “lavori socialmente utili”
Nel novembre 2022, fresco di nomina, Valditara stabilisce che gli “studenti che sbagliano” devono essere umiliati, perché è dall’umiliazione che nasce il “riscatto”, la “maturazione”, “la responsabilizzazione”. E, dopo l’inno all’umiliazione, propone lavori socialmente utili per gli studenti da punire. In un colpo solo, Valditara si attira le critiche di tutti coloro (tanti) che considerano l’umiliazione un intervento correttivo appena appena datato (più o meno come stare inginocchiati mezz’ora sui ceci dietro la lavagna) nonché dell’Associazione nazionale presidi, che ricorda al ministro come dal momento in cui esiste lo Statuto degli studenti e delle studentesse (cioè dal 2008) sono previste, in caso di sanzioni disciplinari, «attività di natura sociale, culturale e in generale a vantaggio della comunità scolastica». Quindi, dobbiamo concludere che il contributo originale portato da Valditara consista nell’umiliare i ragazzi: il resto c’era già.
Seconda “novità: vietare l’uso dei cellulari in classe
Passiamo alla vexata quaestio che riguarda l’uso del cellulare in classe. Premetto che, secondo me, in un paese normale, lo smartphone dovrebbe essere naturaliter bandito dalle aule scolastiche, sia per gli studenti sia per i docenti. A scuola si è sempre raggiungibili, in caso di emergenza – e quindi, a che serve lo smartphone se non a distrarsi, a copiare la traduzione della versione di latino da capo a fondo, a rispondere alla miriade di messaggi e messaggini quasi tutti inutili o dannosi? Se la scuola diventasse un luogo de-colonizzato dallo smartphone non potremmo che rallegrarci. Nessuna lezione è tanto attrattiva quanto il messaggio che invia il fidanzatino o la fidanzatina, nessuno strumento risponde più dello smartphone alla perversa logica del just in time, che fa sì che le nostre vite di fortunati occidentali siano sempre e soltanto “vite di corsa”.
Anche il ministro Valditara pensa che il cellulare debba essere escluso dalla scuola. Bene. Lo ha ribadito recentemente e con forza in una trasmissione televisiva. Il ministro, in data 19 dicembre 2022, aveva già emanato una circolare specifica, in cui si faceva divieto all’uso del cellulare in classe, a meno che non fosse una cosiddetta “misura compensativa”; nella stessa circolare veniva riportato un ampio passaggio della circolare del 15 marzo 2007, n. 30 a firma del ministro Fioroni, in cui si stabiliva ““il divieto di utilizzo del cellulare durante le ore di lezione” come “risposta ad una generale norma di correttezza”.
Allora, cosa c’è di nuovo nella circolare del luglio 2024 circa il divieto d’uso dello smartphone (per amor di precisione, nel 2007 avevamo cellulari che facevano ridere in confronto agli smartphone odierni)? Nulla, se non il fatto che il divieto esplicito e totale riguarda la primaria e la secondaria di primo grado. Inoltre il ministro prende atto, come ha dichiarato anche nell’intervista televisiva, della vasta letteratura scientifica che mette in guardia dall’uso precoce di ogni dispositivo digitale e cita il Rapporto OCSE PISA 2022, che sottolinea come l’uso del cellulare sia fonte di distrazione per gli studenti. Sic!
Tuttavia, chiunque insegni queste cose le nota tutti i giorni, da lunghi anni. Il primo importante testo divulgativo sul tema scritto da uno neuropsichiatra, è del 2012 e viene tradotto in italiano nel 2013 (Manfred Spitzer, Demenza digitale) e le linee dell’OMS sull’argomento parlano chiaro da tempo. Ci aspetteremmo che chi ha compiti di governo fosse sempre all’avanguardia e non giungesse a dire ciò che ad altri è ben noto con un decennio abbondante di ritardo.
Eppure la decisione di Valditara fa parlare, eccome, nonostante non abbia in sé elementi di novità. Gramellini, nella sua trasmissione di domenica scorsa afferma che, per molti studenti Valditara è il ministro che ha vietato i cellulari. Non è un buon modo di fare informazione; così si resta sempre alla superficie dei fenomeni e si pesta acqua nel mortaio dal 2007 (anno della circolare Fioroni sul divieto di usare i cellulari in classe), la stessa acqua, che sta diventando fetida.
A Valditara Gramellini avrebbe dovuto chiedere quanti fondi del PNRR destinati alle scuole siano stati spesi in nuove tecnologie; e poi, visto che il ministro si faceva vanto dell’uso di programmi basati sull’intelligenza artificiale nella didattica, doveva chiedergli esplicitamente in che modo le nuove tecnologie siano indenni dai difetti dello smartphone e pretendere una risposta dettagliata, visto e considerato che Valditara si era prima spinto ad elogiare il ritorno al libro nei paesi più avanzati d’Europa.
Lo strabismo che porta ad indicare i danni provocati dai device digitali su bambini e adolescenti per poi dedicare 2,1 miliardi di euro alla trasformazione digitale delle scuole comincia a dar davvero fastidio.
Come per altri aspetti importanti della vita del Paese, manca una visione d’insieme della scuola e si procede con il piccolo cabotaggio delle “riforme” che bollono in pentola da un ventennio e che non sono ancora andate a segno.
Terza “novità”: ridurre a quattro anni il percorso della secondaria superiore
L’esempio più clamoroso ce lo fornisce la cosiddetta riforma dei tecnici-professionali. Secondo il ministero già quest’anno la sperimentazione ha riscosso successo. E che successo. Sul sito del MIM il 18 febbraio 2024 si leggeva quanto segue: “I dati finali (delle iscrizioni n.d.r.) evidenziano una accresciuta preferenza per i percorsi tecnici e professionali della filiera 4+2. In dettaglio, la percentuale di scelta dei nuovi quadriennali di filiera rispetto al totale degli iscritti all’istruzione tecnica è salita allo 0,89% e allo 1,06% per il professionale. Il dato conferma inequivocabilmente il gradimento per la sperimentazione della nuova filiera, etc. etc.”.
Decriptiamo: 176 istituti (su un totale di circa 1.700) intendono partecipare, nell’anno scolastico 2024-2025, alla sperimentazione del “4+2”. Non è proprio un gran successo. Tra l’altro, anche in questo caso, come per il divieto di usare il cellulare, il ministro non si inventa nulla di nuovo. Gli esperimenti precedenti di riduzione da cinque a quattro anni della scuola superiore, con la scusa che così si lavora meglio e si impara di più (?), l’aveva già prospettata l’allora ministro Profumo. Nell’atto di indirizzo del febbraio 2013 si proponeva di “adeguare la durata dei percorsi di istruzione agli standard europei. Occorre superare la maggiore durata del corso di studi in Italia procedendo alla relativa riduzione di un anno …”. Immediatamente dopo di lui era intervenuta (timidamente) la ministra Carrozza, la quale aveva concesso l’autorizzazione di sperimentare il liceo di 4 anni, ad un liceo di Brescia (tanto per dirla tutta, nel settembre 2014 dichiarata poi illegittima dal TAR del Lazio, che non tenne troppo conto delle motivazioni dell’esperimento, tutte volte a favorire “l’eccellenza”).
Che il tema della riduzione a quattro anni delle superiori circolasse tra gli addetti ai lavori lo testimonia un working paper dell’ IPRASE dedicato ai percorsi di quadriennali nelle scuole superiori. In esso si prendono in esame anche i risultati raggiunti da una decina di istituti scolastici statali e paritari che, ai sensi del Regolamento per l’autonomia (Dpr 275/99, artt 11 e 8), avevano ricevuto l’autorizzazione dal Ministero dell’Istruzione a realizzare un curricolo di studi quadriennale.
In realtà la vulgata per convincere il popolo “bue” della bontà della riduzione di un anno del corso di studi della secondaria superiore la raccontavano efficacemente i siti per lettori non specialisti. Ad esempio: “Una scuola superiore di 4 anni la chiedono le aziende perché nonostante le riforme degli ultimi 20 anni la formazione superiore stenta a stare al passo con un mondo del lavoro che cambia sempre più velocemente”. Una bella sintesi delle boutade rispetto al rapporto tra scuola e mondo del lavoro che gli “esperti” ci propinano da decenni.
Comunque, il sentiero luminoso della riduzione a quattro anni della scuola superiore non si perdeva nel nulla; tant’è che nel 2017 la ministra Fedeli emanava un decreto ministeriale con lo scopo di verificare la “fattibilità della riduzione di un anno dei percorsi di istruzione secondaria di secondo grado quinquennali dei licei e degli istituti tecnici”. Mancavano i professionali, già brutalizzati da altre “riforme”. Dopo Valeria Fedeli, ci fu un momento di calma (Bussetti, Azzolina, Fioramonti ebbero da occuparsi di altre urgenze).
Ma la lava ribolliva sotto una fredda crosta: arrivò il turno di Bianchi, che riprese in mano la situazione e cercò di agire in modo deciso. Bianchi ritorna sull’idea di accorciare il percorso di studi superiori a quattro anni. Nel 2018/2019 la sperimentazione aveva toccato 192 scuole (127 statali e da 65 paritarie, di cui 144 licei e 48 istituti tecnici); nell’anno seguente furono autorizzate 175 classi. Successo senza pari! I rinnovi, però, si ridussero a 98.
A fronte di questi numeri scarsi, che dovrebbero portare ad un ripensamento, cosa fa Bianchi? Estende ad una platea di 1.000 scuole la possibilità di “sperimentazione” dei percorsi di istruzione di secondo grado in 4 anni. Il flop è totale: delle 1.000 scuole in cui il Ministero era disposto a tentare la sperimentazione, soltanto 243 si dimostrano interessate al “diploma in quattro anni”. Nulla si sa, sino ad oggi, di monitoraggio dei risultati raggiunti, ancorché questi fossero esplicitamente previsti.
Filiera formativa tecnologico-professionale 4+2; almeno la definizione l’ha (quasi) inventata Valditara
Ora, ci chiediamo, cosa può fare il povero ministro Valditara se non proseguire su questo strada già tracciata dai suoi predecessori? Valditara fa del suo meglio: si atteggia a novello Cristoforo Colombo e scopre il continente della “filiera formativa tecnologico-professionale” e la formula suggestiva del “4+2”. Si sa, 5-1 = 4; 4+2 = 6. Tutto è suggestivo, nella LEGGE dell’ 8 agosto 2024, n. 121. Alcuni passaggi sono quasi poetici. Questo, per esempio: “gli accordi di cui al primo periodo possono prevedere altresì l’istituzione di reti, denominate “campus”, eventualmente afferenti ai poli tecnico-professionali, laddove presenti sul territorio”.
Certo, è rassicurante sapere che se i “poli tecnico-professionali” non sono presenti sul territorio non ce li dobbiamo inventare. Quanto alle “reti denominate campus” non so cosa dire. Chi può partecipare a questa kermesse? “I soggetti che erogano percorsi di istruzione e formazione professionale e percorsi di IFTS, gli ITS Academy, gli istituti che erogano i percorsi sperimentali di cui al comma 2, le altre istituzioni scolastiche secondarie di secondo grado, le università, le istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica e i predetti altri soggetti pubblici e privati, nonché le modalità di integrazione dell’offerta formativa, condivisa e integrata, erogata dai campus stessi, anche in raccordo con i campus multiregionali e multisettoriali”.
Un vero delirio, che fa immaginare una sorta di superfetazione dannosa e sconclusionata: “modalità di integrazione dell’offerta formativa condivisa e integrata” che balla una fantasmatica quadriglia con i “campus multiregionali e multisettoriali”, quando non esistono ancora nemmeno “le reti denominate campus”.
Non vogliamo qui analizzare i molti limiti del progetto Valditara: ci interessa soltanto mettere in luce la scarsa qualità di scrittura della legge e la conseguente confusione concettuale ed anche evidenziare la sostanziale continuità con i tentativi precedenti di scuole quadriennali. Valditara imita i suoi predecessori in tutto, anche nel trionfalismo. La sperimentazione partita quest’anno tocca 171 istituti tecnici e professionali su un totale di circa 1700. Il Ministro l’ha spacciato come un successo, nonostante l’evidente modestia dei dati. Si giunge, a nostro avviso, sino al ridicolo. Ripetiamo quel che si legge sul sito del Ministero: “La percentuale di scelta dei nuovi quadriennali di filiera rispetto al totale degli iscritti all’istruzione tecnica è salita allo 0,89% e allo 1,06% per il professionale”: Difficile gridar vittoria di fronte di fronte a questi numeri, ma Valditara non indietreggia.
Tutti coloro che sono interessati a che la scuola funzioni bene dovrebbero levare compatti gli scudi contro un tal modo di governare quello che, per Calamandrei, era un organo costituzionale. I mali endemici della scuola sono molti, ma qui ci limitiamo ad indicarne uno: la scuola non è più, da decenni, un luogo di appianamento delle disuguaglianze. Anno dopo anno sta assumendo un aspetto classista sempre più spiccato. Prova ne sia che la riduzione a quattro anni il ministro la fa iniziare dal segmento più debole: i suoi predecessori, almeno, non avevano fatto differenza tra licei, tecnici, professionali[1].
Come mai, nei professionali, pochissimi studenti hanno un genitore laureato mentre nei licei classici i figli di genitori laureati abbondano?[2] Abbiamo proprio bisogno di tornare ad una sorta di “avviamento” professionale a scuola, di tornare perciò ad un periodo che precede il 1962? Non è vergognoso che in Italia non si sia innalzata l’età dell’obbligo scolastico almeno sino alla maggiore età?
Insomma, o si immagina e si opera affinché la scuola sia davvero per tutti o, come si sta facendo da decenni, si favoleggia di una “scuola del merito e dell’eccellenza” che altro non è se non una scuola del privilegio e della conferma dell’esistente. Nessun educatore dovrebbe sopportare una tal deriva, a meno che da educatore non voglia retrocedere ad istitutore, e cioè a servo di chi detiene il potere.
[1] Per inciso: una proposta di legge a firma Miele (deputata della Lega, ma ella afferma do averla presentata a titolo personale) per la riduzione a quattro anni delle scuole superiori esiste e la si può leggere qui
[2]Sappiamo bene che anche l’abbandono scolastico è in netta relazione con il titolo di studio dei genitori: “Quasi un quarto (23,9%) dei giovani 18-24enni con genitori aventi al massimo la licenza media, ha abbandonato gli studi prima del diploma, quota che scende al 5,0% se almeno un genitore ha un titolo secondario superiore e all’1,6% se laureato”. https://www.istat.it/wp-content/uploads/2024/07/REPORT-livelli-istruzione.pdf