
Incontrando gli studenti di alcuni istituti scolastici della Brianza, il ministro Giuseppe Valditara è intervenuto sul tema del rapporto fra scuola e lavoro.
“La scuola serve per due cose – ha detto il Ministro – e cioè a formare alla libertà, alla capacità di far crescere cittadini maturi e responsabili; ma la scuola serve anche per formare al mondo del lavoro. Deve dare concretezza ai nostri giovani, oltre a quelle competenze trasversali e decisive per l’inserimento nel mondo del lavoro, come il saper lavorare in squadra, la gestione del tempo, il saper valorizzare i talenti di ciascuno”.
Sulla questione del rapporto fra la scuola e il mondo del lavoro molto ci sarebbe da dire perché si tratta di capire se la scuola debba rispondere alle esigenze del mondo della produzione o se si debba andare a scuola per imparare a incidere sul modo di produzione (con tutto ciò che questo comporta).
A Valditara si può rispondere facendo riferimento a principi diversi.
Un punto di vista certamente lontano dalla ideologia comunista che vede la soluzione del problema nella socializzazione dei mezzi di produzione lo si può ritrovare negli scritti e soprattutto nella pratica di Adriano Olivetti e cioè di un industriale, anzi un capitalista.
In uno dei suoi scritti (Discorso sulle prime esperienze in fabbrica) l’industriale piemontese affermava di desiderare una “scuola autonoma e separata dall’attività produttiva”.
A questo principio Olivetti si attenne, per quanto possibile, anche quando – a partire dalla metà degli anni 40 – decise di dare avvio alla esperienza del CFM (Centro di formazione meccanici).
Il CFM era un istituto tecnico-professionale che aveva l’obiettivo di formare giovani operai specializzati per le industrie meccaniche e tecnologiche del gruppo Olivetti.
Ma non si trattava solo di un semplice centro tecnico: era pensato come una scuola a tutto tondo, dove la formazione tecnica si affiancava a una solida educazione umanistica e civica.
Al CFM c’erano laboratori attrezzatissimi ma gli allievi potevano frequentare anche corsi di cultura generale (italiano, storia, arte, musica e in qualche caso persino filosofia e letteratura).
A dirigere i corsi venivano chiamati spesso intellettuali di spicco, gli stessi edifici che accoglievano il Centro erano stati progettati e realizzati da famosi architetti perché secondo Olivetti, la funzionalità non poteva mai essere disgiunta dalla “bellezza”.
Adriano Olivetti, insomma, non voleva solamente “bravi operai” che fossero capaci di rispondere alle esigenze dell’azienda, ma anche cittadini consapevoli, creativi e liberi. Questo perché secondo lui la fabbrica doveva essere luogo di cultura e crescita, non solo di produzione.
Ecco, forse la migliore “risposta” alle idee di Valditara sul rapporto fra scuola e mondo del lavoro arriva dalla esperienza svolta 80 anni fa non da un pericoloso manipolo di comunisti ma da un industriale.