Commentando l’ennesimo episodio di violenza contro un insegnante, il ministro Giuseppe Valditara si è espresso con queste parole: “Stiamo ancora pagando gli eccessi ideologici del Sessantotto. La contestazione ha messo in crisi il concetto di autorità, che è ben diverso dalla sua degenerazione, cioè dall’autoritarismo. Se non c’è rispetto per l’autorità – l’insegnante, il carabiniere, il magistrato – lo Stato si dissolve e finiamo nell’anarchia”.
Il Ministro ha riproposto insomma un vecchio leit-motiv caro a lui (e non solo): i mali odierni della scuola sarebbero una sgradevole, inevitabile conseguenza di ciò che accadde nel famigerato 1968.
Secondo Valditara il Movimento del ’68 avrebbe messo in crisi il concetto di autorità, ma – aggiunge il Ministro – l’autorità è cosa “buona e giusta” e non va confusa con la sua degenerazione che è l’autoritarismo.
Già qui ci sarebbe da ridire e non poco.
Intanto è tutto da dimostrare che il ’68 sia stato un movimento contro l’autorità (uno degli slogan più “gettonati” era “l’immaginazione al potere”): forse sarebbe bene ricordare che il movimento era nato nelle Università e che ad essere contestato era precisamente il sistema “baronale” (e forse anche classista) che imperava in molti Atenei.
Il Movimento però era anche la manifestazione di quello scontro generazionale che ciclicamente si è ripetuto nel corso della storia assumendo i risvolti più diversi coinvolgendo anche l’ambito letterario o quello artistico.
Sul rispetto dell’autorità si potrebbe poi discutere a lungo e ricordare che se Galilei avesse avuto più rispetto per l’autorità e non avesse voluto mettere in dubbio la fisica aristotelica forse la scienza sperimentale avrebbe fatto più fatica ad affermarsi.
Ma la considerazione che desta ancora più perplessità è quella secondo cui la mancanza di rispetto per l’autorità provocherebbe la dissoluzione dello Stato.
Affermazione quasi incomprensibile perché sarebbe come dire che l’Impero Romano si sarebbe dissolto per mancanza di rispetto nei confronti dell’imperatore e non per motivi molto meno nobili e assai più materiali.
Che poi la dissoluzione di uno Stato significhi automaticamente l’arrivo dell’anarchia è un’altra considerazione non del tutto giustificata.
Un secolo fa la Russia zarista si dissolse ma non fu sostituita dall’anarchia; fra il 1943 e il 1945 si dissolse anche lo Stato fascista che venne però sostituito (ottimamente, possiamo dire) da una repubblica democratica.
E gli esempi potrebbero continuare quasi all’infinito.
Insomma, ci pare che il Ministro Valditara, volendo dimostrare una tesi precostituita finisca per riproporre uno schema interpretativo certamente consolidato presso una certa parte politica ma quanto meno debole: molti dei mali della scuola odierna sarebbero la conseguenza del ’68 e dei cattivi maestri di quella stagione (e fra i cattivi maestri non dimentichiamo Don Milani e i “donmilaniani” che, secondo la vulgata molto amata da chi forse non ha mai neppure letto “Lettera ad una professoressa”, volevano e vogliono ancora oggi dare un diploma a tutti, anche a coloro che non sanno né leggere né scrivere).
C’è infine una ulteriore osservazione da fare: ma davvero i mali della scuola italiana si possono far risalire a quanto accadde più di mezzo secolo fa?
Cioè vogliamo continuare a raccontare che i problemi attuali della scuola (reclutamento, precariato, dispersione, edilizia fatiscente, didattica non sempre adeguata, e fermiamoci qui per carità di patria) hanno poco o nulla a che fare con le scelte di politica scolastica delle decine di Governi e di Ministri che si sono succeduti dal 1968 ad oggi e sono invece la causa delle occupazioni delle Università e dei cortei studenteschi?