“Occorre una più incisiva personalizzazione dei piani di studio, anche con una articolazione della funzione docente, che consenta di coltivare le potenzialità di tutti, sostenendo chi è in difficoltà e alimentando le capacità dei più bravi”: lo ha detto il ministro Giuseppe Valditara nel corso di una intervista rilasciata al Corriere.
Il tema è certamente interessante anche perché richiama la necessità di “dare sostanza” all’autonomia delle istituzioni scolastiche riducendo il peso della centralità (e della prevalenza/invadenza) delle scelte ministeriali.
Su questo abbiamo raccolto il parere di tre dirigenti scolastici che hanno maturato esperienze importanti sulla questione,
“Sulla personalizzazione – sottolinea Aluisi Tosolini, responsabile della Rete nazionale delle scuole per la Pace – si fanno a mio parere affermazioni condivise da anni dalla pedagogia, dalla didattica e dalla stessa normativa. Tuttavia la personalizzazione richiede un diverso approccio organizzativo che superi radicalmente le modalità consolidate e tradizionali che la rendono impossibile nei fatti”.
Anche Stefano Stefanel, dirigente del liceo “Marinelli” di Udine afferma: “La personalizzazione è una strada che il Ministero negli atti formali ha sempre indicato, ma che poi ha contraddetto rafforzando la rigidità del sistema scolastico con quadri orari rigidi legati a tempi scuola tutti uguali e a classi di concorso che la fanno da padrona sugli apprendimenti. La personalizzazione degli apprendimenti è un punto d’arrivo cui il sistema scolastico italiano dovrà arrivare, ma che richiede un enorme sforzo economico e l’avvio di una valutazione per competenze e livelli di apprendimento e non per voti dati su prodotti standard auto organizzati dai docenti senza controllo alcuno”.
“Il tema della personalizzazione dei percorsi – spiega Emanuele Contu, dirigente del Professionale Puecher-Olivetti di Rho – è ben tratteggiato nella riforma dell’Istruzione professionale del 2017, con l’introduzione del Progetto Formativo Individuale e della figura del tutor. Se davvero si intende percorrere questa strada, occorre ora passare dalla norma alle pratiche, superando l’ipocrisia del ‘senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica’”.
“Il tema ritorna anche nel PNRR – ricorda Tosolini – perché negli orientamenti forniti alle scuole destinatarie dei fondi contro la dispersione scolastica si suggeriscono percorsi di tutoring e coaching individuali e percorsi di potenziamento competenze per piccoli gruppi che sicuramente sono in linea con la logica della personalizzazione. Ma ciò richiede sia una diversa organizzazione del tempo e della struttura della classe che l’acquisizione da parte del docente di competenze che spesso non possiede”.
“Sono pienamente d’accordo – ribadisce Stefanel – la strada deve essere quella, ed ma è già stata tracciata dall’autonomina scolastica che però non è mai stata applicata nella sua parte ‘flessibile’. Per realizzare personalizzazione, tutorialità, didattica per livelli, classi aperte, ecc. è necessario lavorare su orari flessibili con un monte ore annuale declinato in base alle esigenze degli studenti, non con rigidità orarie che spezzettano i processi di apprendimento e costringono a didattiche frontali e a valutazioni su rigidi e obsoleti prodotti”.
“Senza poi dimenticare – conclude Contu – che non ci si improvvisa tutor e non si costruiscono veri progetti formativi individuali senza costruire prima di tutto nuove competenze professionali tra i docenti coinvolti e senza prevedere un’adeguata valorizzazione per chi svolge questo delicato compito”.
Insomma, sembra che l’idea di Valditara sia condivisa; per poterla realizzare non basterà però fermarsi alle enunciazioni di principio: serviranno risorse e, soprattutto, un “cambio di passo” decisivo che consenta alle scuole di praticare una organizzazione diversa.
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