“Occorre ripensare a un nuovo patto educativo. Mi impegnerò a costruire una scuola serena, ispirata al senso di responsabilità, che torni a considerare l’autorevolezza dei docenti che devono essere consapevoli dell’alta dignità della loro professione”. Lo ha detto il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara a Radio Rai1. “Credo che occorra che il docente sia sempre più accanto alla famiglia e questa sia sempre più coinvolta nel processo educativo dei figli e responsabilizzata – ha continuato – il ministro Valditara – I genitori, oggi, vanno dai docenti soprattutto per lamentarsi: ai miei tempi i genitori davano sempre ragione ai docenti. Smettiamola con la società rivendicativa, livorosa, serve un clima positivo che faccia emergere i talenti”.
Ma cosa si intende per patto educativo?
Ce lo spiega Filomena Labriola, pedagogista e presidente Anpe (Associazione Nazionale Pedagogisti) per Puglia e Basilicata, intervenuta in una recente diretta di Tecnica della Scuola LIVE.
“Io su quel patto ci ho lavorato tantissimo perché al tempo ero una ricercatrice e il ministero di chiese di dirigere un modello, come Anpe – esordisce l’esperta -. Il Patto di corresponsabilità educativa, che ha un Dpr dedicato, ha fatto una brutta fine, perché come tanti documenti è diventato una carta che ci viene chiesto di sottoscrivere come genitori. Gli sperimentatori di quel patto sono stati traditi perché per costruire un’alleanza, avevamo reso un modello pratico di intervento. Il patto di corresponsabilità doveva essere un momento iniziale di scambio, metodologicamente organizzato, tra famiglia e scuola, dove ci si accordava insieme sui presupposti, sulle metodologie, sugli impegni che reciprocamente ci si prendeva e anche sul modello per recuperare il danno”.
Recuperare il danno
“Siamo stati i precursori della giustizia riparativa – continua la pedagogista -. La logica della proibizione non vale a nulla. Quando c’è un danno da parte di un alunno, di un docente o di un genitore, come lo recuperiamo? Era scritto sul patto, ma molti genitori oggi non sanno nemmeno cosa sia questo patto. Nelle scuole, per agire praticamente, forse il Pnrr con i suoi fondi potrà darci una mano, c’è bisogno di unità di intervento, di pedagogia e di psicologia, perché l’insegnante acquisti fiducia, perché lavori sulle dinamiche relazionali ma anche autobiografiche. Ma la scuola non deve diventare un ospedale,” ha concluso.
I nuovi modelli educativi
“Quali sono i modelli educativi che stanno cambiando? Quello della famiglia, certo, ma anche quello della scuola, perché anche la scuola ha il suo modello educativo. Sta cambiando la famiglia prima di tutto? Ricordiamoci che la fatidica organizzazione vita-lavoro è una chimera, non siamo in una società family friendly, ci viene chiesto di essere sempre competitivi e ci viene dato poco tempo da dedicare ai figli”.
“Quello che sta cambiando è la questione della delega – continua – i genitori delegano molto l’istituzione scolastica di diversi compiti, ma allo stesso tempo i genitori sono animati da un desiderio narcisista di difendere sempre i propri figli. Ci sono regolamenti che danno grande spazio ai genitori nella scuola, al punto che lo stakeholder della scuola sono diventati i genitori, non più i ragazzi. Ci si preoccupa più dei genitori che degli interessi degli studenti sul profilo pedagogico”.
“La cosa che mi preme sottolineare è che ci troviamo di fronte a un’emergenza e come adulti abbiamo sbagliato perché i cambiamenti vanno trasformati in sfida, non in emergenza. Quello che io ribadisco è che dagli anni ’90 ad oggi è prevalso un modello bambino-centrico, ma gli interventi educativi devono essere adulto-centrici, dobbiamo pensare a un sistema educativo adulto. Non significa che l’adulto debba prevalere, ma che, ad esempio, nella giornata dell’infanzia, io pedagogista devo spiegare ai genitori quali sono i diritti dei bambini, non lo devo spiegare ai bambini”.