Il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara dice che “A scuola si dovrebbe studiare di più il Risorgimento e far crescere l’orgoglio positivo di appartenere alla nostra civiltà”.
E aggiunge pure: “Una certa sinistra ci ha abituati ad andare in Europa senza la consapevolezza della difesa dell’interesse nazionale, che peraltro è un obiettivo di tutti gli Stati. Dovremmo riscoprire la nostra patria e la nostra storia, per sentirci tutti italiani, in nome di un interesse comune pur nelle nostre legittime e stimolanti differenze. Insomma, sarebbe bello se a scuola si riuscisse a far crescere anche l’orgoglio positivo di appartenere a una grande civiltà come quella italiana, che va conosciuta in tutte le sue declinazioni”.
Anche se non capiamo cosa c’entri questa fantomatica “certa sinistra” che non difenderebbe l’interessa nazionale in somiglianza di chi è percorso da un disperato e inesorabile masochismo, il ministro, nella sua interferenza ideologica e propagandistica, sembra non essere aggiornato sull’evoluzione dei programmi della scuola, proprio perché del Risorgimento si parla abbastanza e delle sue epopee si studia sufficientemente, e per il semplice fatto che quel periodo è inserito anche nella sfera della letteratura e del romanticismo in particolare che è uno dei capisaldi del processo culturale e ideale dell’Italia.
A lesinare invece lo studio della storia, a limitarlo il più possibile, è stato l’intervento dei ministri di centro destra, come Mariastella Gelmini che, oltre a tagliare 8miliardi di euro, tolse ore proprio alla storia (a parte la sforbiciata alla storia dell’arte nei Turistici) nei professionali, considerandola di poca importanza. E fu ancora un ministro leghista, Marco Bussetti, che eliminò una delle due prove di storia agli esami di stato, quella denominata “tipologia C”, a cui rispose l’appello: “La storia è un bene comune”, firmato da Andrea Giardina, presidente della Giunta centrale per gli studi storici, dallo scrittore Andrea Camilleri e dalla senatrice Liliana Segre.
Dunque Valditara dovrebbe prima di tutto ripassare, invece di gettarsi nella polemica politica, questa parte recentissima di storia nella quale il suo partito e la sua compagine governativa sono i primi a negare importanza culturale alla storia.
Il ministro allora dovrebbe guardare al lavoro svolto dai suoi predecessori, alcuni dei quali hanno invece puntato il dito nei confronti di altri periodi storici i quali, pur essendo determinati per la storia d’Italia, non vengono quasi mai affrontati a scuola: per mancanza di tempo e soprattutto perché si impiega molto tempo a studiare il Risorgimento con le guerre d’Indipendenza, tralasciando invece tre fatidici anni che sconvolsero la nostra Nazione e che sono a fondamento della Repubblica italiana.
Paliamo degli anni che vanno dal 1943 al 1946. Tre anni che capovolsero il destino d’Italia: cade infatti il vecchio ordine feudale rappresentato dalla monarchia, viene arrestato il capo del fascismo, decretando la fine della dittatura, inizia la guerra partigiana e la Resistenza contro l’invasione nazista, nasce la Repubblica, viene approvata la Costituzione, si compie la democrazia, si affermano i grandi partiti popolari, si dichiara il suffragio universale col voto alle donne e si ricostituiscono i sindacati: il fondamento dell’Italia di oggi, quella che garantisce la democrazia e la libertà si fonda in quei tre anni, a cominciare dalla sbarco degli Alleati in Sicilia.
Valditara dunque, invece di avere nostalgia per il Risorgimento, dovrebbe invogliare a studiare con la dovuta attenzione quegli anni, quei tre fatidici anni.
Tuttavia, oltre a esaurire quel periodo in poche frettolose pagine nei manuali scolastici, secondo un sondaggio di Skuola.net di qualche anno fa, il 43% degli studenti del 5° anno del licei non farebbe appena in tempo a studiare quegli anni, mentre solo il 24% arriverebbe a chiudere il programma con la Seconda guerra mondiale, il 10% si fermerebbe al periodo compreso tra le due guerre e addirittura il 9% non riuscirebbe a intercettare neanche la Prima guerra mondiale.
Ma al ministro preme il Risorgimento, come se la storia d’Italia si fermasse tra Carlo Alberto, Vittorio Emanuele II e Garibaldi.
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