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Valore legale del titolo di studio ed esami di stato

L’abolizione del valore legale del titolo di studio sembra non interessi il governo Renzi, forse per le troppe tensioni che nascerebbero fra Università e fra Ordini professionali o forse per non aprire ancora di più le tensioni col mondo della scuola, sensibile al problema.
In ogni caso per la scuola forse potrebbe essere una buona opportunità, soprattutto se riferita agli esami di stato che finora si sono limitati a valutare il candidato con un solo voto numerico finale che tutto e nulla dice della sua preparazione nei vari ambiti disciplinari studiati a scuola.
La prospettiva infatti potrebbe essere quella di rilasciare un attestato delle competenze raggiunte dall’alunno nel corso dei cinque anni di istruzione secondaria superiore, con un voto preciso per ciascuna materia, in modo che, sia nei confronti del datore di lavoro, e sia nei confronti della iscrizione all’università, si sappia la mappa delle competenze raggiunte.
L’attuale formula infatti non rende del tutto giustizia di un voto alto su una specifica materia perchè viene automaticamente appiattito con la media della altre, cosicché un’ottima preparazione, per esempio, nelle lingue straniere si eclissa con una insufficienza in matematica.
Più delicato è invece stabilire il punteggio accessorio, nei concorsi pubblici, che dovrebbe scaturire dalla valutazione della scuola di provenienza sulla base della valutazione dell’Invalsi.
Si tratterebbe in effetti, e da qui la delicatezza della questione, di lasciare alla graduatoria di merito di ciascuna scuola il punteggio accessorio da assegnare ai diplomati, spezzando così quella sorta di appiattimento, dove il merito è parola vuota, tra scuole che largheggiano allegramente e scuole che invece fanno del rigore e della valutazione il più possibile corretta la loro bandiera.
Una vecchia idea di trascorsi ministri, quella della valutazione delle scuole e delle università, ma che ha trovato scarsi consensi anche perchè nessuno è riuscito a emanare parametri convincenti e condivisi; stesso discorso per gli insegnanti il cui stipendio, sia per chi si aggiorna con spese cospicue e curando la classe, e sia per chi non compra nemmeno un libro, fregandosene degli alunni, è uguale per tutti.
Ma è uguale anche per chi ha compiti da correggere, e quindi da preparare e scrutinare, e per chi invece non lo fa, usufruendo così di maggiore tempo libero, insieme a molto meno carico di lavoro.
Contraddizioni evidenti che però, pur riscuotendo l’approvazione della maggioranza dei professori, nessuno riesce ad appianare in modo definitivo e soprattutto condiviso. Con l’abolizione del valore legale del titolo di studio, altra ipotesi contemplata, si potrebbero di contro prevedere degli esami specifici da pare degli ordini professionali per legalizzare il diploma, permettendo a chi ha frequentato il corso per geometra, per esempio, di partecipare agli esami per ragioniere, considerato pure che attualmente un diploma così come è congegnato rende poca giustizia del corso di studio seguito.
Nello stesso tempo tuttavia agli esami di Stato invece di considerare la bocciatura, e quindi la ripetizione dell’anno, al candidato si potrebbero lasciare il recupero solo delle materie dove ha evidenti difficoltà. Questa scelta però farebbe presupporre un esame in tutte le materie dell’ultimo anno, con scritto e orale, e pure la certificazione delle competenze come attualmente avviene col “Quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue (QCER)” e che dovrebbe però essere esteso indistintamente a tutte le materie e con similare capacità descrittiva e per livellare le abilità conseguite da chi è andato a scuola per 13 anni.
In pratica, a conclusione degli esami, al candidato con insufficienze “certificate” si potrebbe aprire la possibilità, considerato fra l’altro che per cinque anni ha seguito un corso, o di recuperare le sole materie carenti a scuola o di avventurarsi nel mondo del lavoro, avendo però come viatico quel diploma, non legalmente riconosciuto e contrassegnato dal basso valore di talune o di tutte le sue competenze.
Come è facile capire si tratta di ipotesi che per lo più traggono spunto sia da precedenti che da recentissimi dibattiti, nati dopo le note denunce sulle scopiazzature dei candidati e una certa denunciata ritualità un po’ stanca degli esami, mentre è di pochi giorni fa uno scambio a punta di penna fra direttori di quotidiani, tra chi vorrebbe togliere del tutto gli esami di stato e chi invece ne vorrebbe una loro più severa conservazione.

Pasquale Almirante

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