Il vicepremier Matteo Salvini (Lega)
Il valore legale del titolo di studio entra nel mirino della Lega. E forse anche del Governo, anche se non sarà facile. L’annuncio arriva dal vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini che di domenica sera, l’11 novembre, a Milano, durante la scuola di formazione politica del Carroccio.
Dopo avere ironizzato del difficile rapporto dell’esecutivo con Bruxelles (“Arrivano gli ispettori dell’Onu a verificare se siamo cattivi e razzisti, arrivino anche gli ispettori Ue al Tesoro, manca l’ispettore Derrick e il tenente Colombo e poi ce li abbiamo tutti”), Salvini ha aperto una parentesi sui titoli conseguiti nelle scuole italiane: è giunto il momento, ha dichiarato, di “mettere mano alla riforma della scuola e dell’Università” ed è “da affrontare la questione del valore legale del titolo di studio”.
“Negli ultimi anni – ha sottolineato il vicepremier – la scuola e l’università sono stati serbatoi elettorali e sindacali: l’abolizione del valore legale del titolo di studio è una questione da affrontare”.
Ma da dove trae origine la richiesta di Matteo Salvini? Diciamo subito che nel Contratto per il Governo del Cambiamento M5S-Lega non c’è traccia dell’intendimento espresso dal vice presidente del Consiglio.
E allora? È probabile che Salvini abbia espresso questa sua esigenza in un ambiente esclusivamente leghista, che caldeggia l’idea da tempo, su spinta di diversi cittadini del Nord-Est, dove il partito è più radicato.
Il vicepremier, però, potrebbe essere uscito allo scoperto anche per vedere che effetto fa. Soprattutto tra i suoi alleati “grillini”, dove però è difficile che la proposta trovi facili consensi.
Sino a prova contraria, infatti, il valore legale del titolo di studio rappresenta la garanzia per tutti di partecipare ai pubblici concorsi o di concorrere per una professione, prescindendo dal territorio di provenienza: far venire meno l’uniformità dei diplomi, in particolare quelli di maturità e di laurea, per determinate fasce di cittadini – soprattutto al Sud – significherebbe invece rendere ancora più difficile l’inserimento nel mondo del lavoro.
Ora, dopo avere introdotto il reddito di cittadinanza, anche per andare incontro alle fasce più deboli, che statisticamente sono più presenti al Sud e nelle isole maggiori, perché il Movimento 5 Stelle dovrebbe cancellare il valore legale del titolo di studio, che per tantissimi giovani e non meridionali rappresenta probabilmente la chiave d’accesso più importante per cercare di approcciare al lavoro, quasi sempre in regioni anche distanti?
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