Attualità

Valorizzare il merito: come, se non valorizzando la figura dell’insegnante?

Ha fatto notizia la nuova denominazione del Ministero dell’Istruzione: il quale, pur non avendo più recuperato il vecchio nome di “Ministero della Pubblica Istruzione”, ha guadagnato quello di “Ministero dell’Istruzione e del Merito”. Ma il nuovo aggettivo può forse compensare quello perduto di “Pubblica”? Inoltre, ammesso pure che lo faccia, ci si è posti il problema di come sostanziare di fatti il termine “merito”?

Il merito di aver studiato molto (e criticamente) e di insegnare

Per dare senso compiuto all’espressione, bisognerebbe che il nostro Stato tornasse a desiderare una Scuola in grado di comunicare agli studenti la necessità di meritare ciò che si ottiene nella vita; una Scuola che insegni e dimostri loro (con i fatti) che la nostra società italiana premia il cittadino in base ai suoi sforzi, alle sue capacità, all’impegno nel trasformare le capacità in risultati utili per la collettività tutta; una Scuola convinta (e capace di convincere) che questo impegno deve tradursi in saperi forti, in conoscenze critiche e approfondite, in consapevolezza della complessità del reale.

La “pedagogia sociale” italiana: pagare meno chi ha studiato e insegna

La Scuola italiana fa questo? La Scuola italiana dimostra (nei fatti) che chi studia con coscienza e consapevolezza per amore del sapere viene premiato col riconoscimento (non solo a parole) della società italiana e di chi la guida? O fa, da decenni, l’esatto contrario?

Dal 1982 la Scuola italiana è stata continuamente definanziata: caso unico in Occidente. E questo definanziamento si è tradotto anzitutto nella riduzione progressiva del potere d’acquisto dei docenti, soprattutto da quando il D. Lgs. 29/1993 ha legato il loro salario ad una frazione dell’inflazione programmata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Al punto che oggi lo stipendio dei docenti non supera quello dei (pure meritevolissimi) operatori ecologici. È forse questa la “pedagogia sociale” del merito secondo lo Stato italiano?

L’equità non è omologazione. Anche perché l’omologazione — guarda caso — vira da trent’anni sempre verso il basso: ossia non sono i mestieri più umili a venir pagati in modo più equo, ma sono piuttosto le professioni basate sui saperi forti a venir trattate come i mestieri più umili, e ambedue i gruppi sono pagati con salari da fame (in senso ormai letterale).

Maria Montessori e Raffaella Carrà

È casuale tutto ciò? È casuale, al contempo, la continua opera di propaganda contro le conoscenze, condotta in nome delle “competenze” più minimali, dei “nuovi linguaggi” del “villaggio globale”, dei nuovi pseudo-pedagogismi anglosassoni alla moda (nel Paese di Maria Montessori e delle sorelle Agazzi)? È casuale che, nell’anno 2022, in cui si celebra il settantesimo anniversario della morte di Maria Montessori, venga annunciata l’emissione della moneta da due euro non con l’effigie di Maria Montessori, ma di Raffaella Carrà? Si sta forse cercando di ridurre la vera alfabetizzazione di base del nostro popolo? Il quale, infatti, dopo 42 anni di televisione-spazzatura, non brilla certo per capacità di analisi critica e di approfondimento, e nemmeno per eticità nelle scelte.

I dirigenti più ricchi d’Europa, gli insegnanti più poveri d’Europa

I sindacati firmatari dei contratti degli ultimi trent’anni hanno accettato e approvato la crescita dei salari dei dirigenti scolastici fino a farli diventare i più pagati capi d’istituto d’Europa. Hanno nello stesso tempo avallato la discesa del salario dei docenti italiani fino renderli i meno pagati d’Europa (e non solo, visto che i docenti sudcoreani guadagnano il doppio), nonché i laureati meno pagati d’Italia (il 27,4%  meno degli altri laureati). E questo sarebbe il “Ministero del Merito”?

Naturalmente molti tra i nostri politici — noti per sedere sugli scranni del potere per i loro meriti — si affretterebbero a rispondere col ritornello che i docenti lavorano poco, che sono “improduttivi”, che non tutti sono meritevoli, e via blaterando: se però gli italiani fossero un popolo capace di leggere criticamente e di approfondire, saprebbero che ci sono ben altre categorie statali “protette” (sindacalmente, politicamente ed economicamente), per le quali ancor più vale questo ritornello, e che purtuttavia (malgrado il ritornello stesso) sono pagate molto meglio dei docenti.

Colpire la Scuola è affossare i ceti subalterni

Un dato di fatto: se si colpiscono i docenti (colpevolizzandoli, sottopagandoli, calunniandoli), non solo non si valorizza il “merito” (di chi, già bravissimo a scuola, ha messo a frutto il proprio sapere per trasmetterlo alle nuove generazioni). Se si colpiscono i docenti, si colpisce la Scuola nella sua autorevolezza. E, di conseguenza, si colpiscono i ceti subalterni: quelli che, credendo nella Scuola, possono riscattare il proprio futuro mediante la cultura, secondo il motto gramsciano «Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza».

Chi colpisce la Scuola, anche se lo fa in nome del popolo, compromette il futuro del popolo stesso: e persino quello delle classi dirigenti, che in futuro dovranno guardarsi dal popolo ignorante come da un barbaro nemico, e trattarlo con festa, farina e forca, come nei periodi più bui della storia.

Alvaro Belardinelli

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