La valutazione? Meglio se fatta… a stomaco pieno. Il fenomeno della “deplezione dell’io” porta con sé il rischio di voti dettati dall’impulso.
Se siamo stanchi o irritati, nel prendere decisioni subiamo una irresistibile tentazione di attivare risposte di default. Non raramente inadeguate.
“Insomma, ho capito, sei impreparato! Va’ a sederti!”. Una frase come questa, esclamata dopo le prime due domande cui lo studente interrogato non ha risposto, potrebbe costituire una conclusione liquidatoria da parte dell’insegnante. Più legata alla stanchezza di fine mattinata o all’irritazione del momento che non ad una ponderata (e faticosa) analisi dei tanti fattori da considerare in fase valutativa.
A tale tentazione non sfugge nessuno. Un inquietante esempio ce lo offre un esperimento condotto nel 2011, dove sono state esaminanate le decisioni (più di mille) che otto giudici israeliani hanno preso, nell’arco di circa 10 mesi, rispetto alle richieste di libertà “sulla parola” avanzate dai detenuti di quattro penitenziari.
Gli studiosi hanno notato che c’era un picco di “non si concede” in relazione ad un insospettabile elemento: l’ora in cui la pratica veniva esaminata. Poco prima delle pause con pasti (pranzo, ecc.), le percentuali di accoglimento della richiesta, normalmente intorno al 35%, crollavano infatti ad un livello vicino allo zero. Per rimbalzare magicamente al 65% dopo i pasti.
Insomma, era soprattutto la fame e la stanchezza dei giudici a decidere della sorte di quei detenuti, più che l’analisi della loro effettiva situazione.
Perché? Perché la risposta più ovvia o più utilizzata era proprio non concedere la libertà sulla parola, se non sulla base di elementi capaci di ribaltare la valutazione. Ma individuare elementi accettabili in quelle pratiche significava esaminarle attentamente e questo comportava un impegno medio di circa 6 minuti a pratica. Quando fame e stanchezza avevano raggiunto il culmine, la tendenza era pertanto quella di dare soprattutto risposte di default (No!), non di analizzare attentamente le singole situazioni (Vediamo un po’ se ci sono i presupposti). Ne scaturivano, evidentemente, letture sbrigative e “già orientate” delle singole pratiche.
E’ un caso del fenomeno della cosiddetta “deplezione dell’io”, la tendenza ad attivare maggiormente risposte di default, piuttosto che a più alta elaborazione, quando siamo stanchi, stressati o irritati o quando siamo alle prese contestualmente con altri compiti cognitivamente impegnativi o legati al controllo degli impulsi (v. Baumeister R.F., Ego depletion: is the active self a limited resource?, “Journal of Personality and Social Psychology”, 1988).
Anche a scuola, ovviamente, la stanchezza e lo stress (nei suoi vari soggetti) possono privilegiare parole e azioni emotive e d’impulso o che si basano comunque sull’attivazione di schemi consolidati (compresi possibili pregiudizi sugli allievi), che in quel momento non si ha le energie (letteralmente) di mettere in discussione in vista di una scelta più oculata.
Insomma, anche nella più totale buona fede di chi valuta, c’è il grosso rischio che più aumenta l’irritazione o più calano gli zuccheri, meno energie mentali si hanno per contrastare pregiudizi o risposte d’impulso. Sarebbe il caso di dire: si consiglia di valutare… solo a stomaco pieno.
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