E adesso che il RAV è diventato ufficiale, la valutazione/autovalutazione delle scuole (e forse anche dei docenti) può prendere avvio.
Anche se per la verità criteri, modalità e procedure sono ancora tutte da costruire e da mettere in pratica.
E’ facile prevedere che non mancheranno difficoltà e resistenze soprattutto perché si tratta di una novità non da poco. E’ vero che negli anni passati sono state spesso sperimentate iniziative analoghe rivolte ad un numero limitate di istituzioni scolastiche, ma questa volta il progetto è di ben più ampia portata perché riguarderà la totalità delle scuole italiane.
E’ probabile che la valutazione/autovalutazione delle scuole venga in qualche modo metabolizzata anche perché la valutazione esterna condotta dai nuclei formati da esperti e ispettori riguarderà solamente 800 istituzioni scolastiche ogni anno.
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Il meccanismo, per ora, non è affatto chiaro: nel documento “Buona Scuola” ci sono alcune indicazioni ma il Ministro si è già affrettata a dire che a Viale Trastevere si sta lavorando per tenere conto degli esiti della consultazione.
I problemi veri, invece, nasceranno quando si dovrà collegare la valutazione alla “misurazione” del merito dei docenti in modo da individuare il personale al quale attribuire gli “scatti di competenza”.
Il timore diffuso è che nel riconoscimento dei “merito” valgano di più i “punti” acquisiti stando fuori dalla classe che quelli derivanti dal fare scuola in aula.
E poi – sostengono in molti – c’è il rischio che il dirigente scolastico faccia valere i propri criteri. Forse un modo per uscirne potrebbe esserci: intervenire sulla composizione dei nuclei interni che dovranno decidere sul merito di ciascuno. Intanto si potrebbe stabilire che del nucleo non faccia comunque parte il dirigente scolastico e che vengano invece coinvolti 3-4 docenti designati dal collegio dei docenti (e magari in parte anche dalle stesse organizzazioni sindacali): d’altronde già oggi il comitato di valutazione è formato da docenti eletti dal collegio e la RSU svolge funzioni di “autorità salariale” nei confronti del personale senza che nessuno si scandalizzi.
Insomma forse un modello che dia spazio agli organi collegiali e ai rappresentanti dei lavoratori potrebbe anche ottenere il consenso del “popolo della scuola”.
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