Fra gli emendamenti al testo del ddl che a partire da domani dovranno essere esaminati dalla Commissione Cultura del Senato ce n’é uno particolarmente interessante che riguarda la valutazione dei dirigenti scolastici.
L’emendamento prevede che i dirigenti vengano valutati con riferimento anche al successo formativo degli alunni. L’idea, di per sé, sembra apprezzabile, ma basta ragionarci qualche minuto per rendersi conto che si tratta di una mezza sciocchezza. Intanto: cosa si intende per “successo formativo”? Ci si riferisce agli esiti degli scrutini di fine anno o ai risultati conseguiti dagli studenti nelle prove Invalsi?
In entrambi i casi la proposta è molto rischiosa perchè potrebbe indurre i dirigenti scolastici a “sollecitare” i consigli di classe a promuovere e ad “alzare i voti” il più possibile.
Se poi la valutazione verrà fatta con riferimento agli esiti delle prove Invalsi ci sarà l’evidente rischio di sostenere pratiche didattiche finalizzate più all’addestramento alle prove che alla reale acquisizione di competenze.
Ma la questione è che legare la valutazione dei dirigenti agli esiti scolastici degli studenti è in palese contraddizione con la regola di far ruotare i dirigenti stessi ogni 3-6 anni.
Il dirigente X che arriva nella scuola Y disastrata e “sgarruppata” perchè ha avuto la sventura di essere stata assegnata in reggenza per 4-5 anni di fila non potrà certamente correggere la rotta in uno-due anni e gli ci vorrà molto tempo. Peccato che al termine del triennio dovrà essere valutato: per quale motivo si dovrà addebitare a lui/lei le manchevolezze dovute ad anni di gestione sbagliata o più semplicemente di non-gestione?
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