Categorie: Valutazioni

Valutazione, mancano gli ispettori: ogni scuola dovrà fare da sé

Per mandare regime il meccanismo previsto dal Regolamento n. 80 del 2013 servirà addirittura un decennio. Lo prevede, come riportato in un articolo della ‘Tecnica della Scuola’, la direttiva ministeriale n. 11 del 18 settembre 2014 sulla valutazione del sistema scolastico nazionale: le indicazioni del Miur indicano che il “sistema a tre gambe” (Invalsi + Indire + Ispettori) provveda alla valutazione esterna di 800 scuole l’anno. Reginaldo Palermo ricorda che “10 anni sono un tempo straordinariamente lungo e sembra impossibile che il Governo non si renda conto che se davvero si vuole mettere in piedi un sistema di valutazione delle scuole, bisogna fare molto più in fretta”.

Ma è possibile che a Viale Trastevere non si siano resi conto di questa scansione temporale così lunga? Perché non hanno considerato che tra dieci anni il sistema scolastico italiano, al pari di quello culturale, economico, politico, per non parlare del panorama tecnologico, potrebbe essere completamente diverso da quello attuale? Che senso avrebbe valutare una scuola utilizzando dei parametri diventati nel frattempo anacronistici e inadeguati?

Ne abbiamo parlato con Lucrezia Stellacci, che è stata Capo Dipartimento Istruzione del Miur nel periodo di ideazione dell’impianto che ha portato alla scrittura delle norme per la valutazione del sistema scolastico, e che prima di diventare consigliere del sottosegretario D’Onghia, è stata anche direttore dell’Invalsi.

Dottoressa Stellacci, ma come è possibile che sia stata emanata una direttiva per valutare l’operato delle scuole con un raggio d’azione addirittura decennale?

R. A voler essere precisi il raggio di azione che la direttiva ministeriale n.11 prefigura va ben oltre i 10 anni. Perché gli 800 istituti scolastici da visitare riguardano ciascun triennio che è il ciclo di compimento del processo valutativo: nell’anno in corso le scuole effettuano l’autovalutazione, con compilazione del relativo Rapporto e Piano di miglioramento, nel 2015-16 avranno inizio le attività di valutazione esterna da parte dei nuclei, nel 2016-17 le Scuole dovranno rendicontare sui miglioramenti ottenuti e ricominciare il processo.

Ma come mai si è arrivati ad un percorso di valutazione così lungo?

R. A dire il vero la ratio che ha ispirato il Sistema Nazionale di Valutazione era diversa: io ricordo che le intenzioni di chi ha scritto il D.P.R. 80 (28 marzo 2013, “Regolamento sul sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione” n.d.r.) erano quelle di far visitare dai nuclei di valutazione solo le scuole risultate in situazione di forte criticità dalla prima fase di autovalutazione: una quota che normalmente si aggira sul 5 per cento del totale, quindi stiamo parlando di 400-500 istituti. A cui si sarebbe dovuto aggiungere un certo numero, che poteva essere tra i 100 e i 150, sorteggiato ogni anno fra tutte le scuole. Per un totale complessivo nel triennio di circa mille istituti scolastici.

Quindi gli istituti da visitare sarebbero stati poco più degli 800 indicati nella direttiva ministeriale sulla valutazione?

R. La differenza che riscontro tra il progetto originario e la direttiva è essenzialmente nel metodo organizzativo attuato: da parte nostra si puntava su di una partenza disallineata del processo triennale di valutazione, che non aveva inizio nello stesso anno per l’intera platea delle istituzioni scolastiche, in modo da consentire ai nuclei di spalmare sui tre anni il contingente di scuole da visitare fra quelle che avevano appena compilato il rapporto di autovalutazione. E per gli altri istituti non visitati avrebbe fatto fede il risultato della fase di autovalutazione e le misure poste in atto per il miglioramento.

 

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Sembra di capire che alla fine si optato per un modello diverso, forse perché anche già avviato fuori dell’Italia?

Non direi, perché il sistema riportato nel D.P.R.n.80 consiste in un impianto diverso da quello di altri Paesi europei: l’idea di fondo è far crescere nelle scuole l’abitudine a valutarsi per meglio conoscersi e valorizzarsi, e non la ricerca ‘occhiuta’, da parte di un nucleo esterno, dei casi da sanzionare.

Perché?

R. Perché verificare i risultati dell’offerta formativa ed organizzativa di tutte le scuole italiane avrebbe comportato una spesa enorme. Tra l’altro, con risultati molto spesso di conferma di quanto già rilevato nei rapporti di autovalutazione e nei piani di miglioramento.

È per questo che si è chiesto alle scuole di fare da sole?

R. Esattamente. L’unica soluzione era e rimane quella di convincere le scuole ad autovalutarsi per conoscere i propri profili di criticità e di qualità. E cercare, quindi, soluzioni per eliminare i primi e potenziare gli altri. E per la gran parte il percorso di valutazione triennale si fermerà lì.

Ma che genere di autovalutazione?

R. La Direttiva afferma che l’autovalutazione sarà supportata dall’Invalsi, attraverso l’approntamento di un quadro di riferimento corredato di indicatori, parametri di misurazione e dati comparabili che sarà fornito alle scuole per l’elaborazione dei rapporti di autovalutazione.

Cosa si sente di controbattere a chi critica il Miur per aver escogitato questo sistema?

R. Che sarebbe stato possibile anche visitare 8.000 scuole in un triennio, sapendo però di dover dispiegare un contingente ispettivo che non solo non esiste, ma che allo stato attuale non sembra neppure prevedibile.

Sembra di assistere al solito adagio: siccome mancano i soldi, fate da soli…

In verità a coloro che fanno della critica un mestiere, suggerirei di concentrare l’attenzione su due punti ancora inesplorati: riuscirà l’esiguo numero di dirigenti tecnici in servizio presso le strutture centrali e periferiche del Miur, oltre a svolgere i quotidiani compiti loro assegnati, a visitare, con al seguito esperti tutti ancora da cercare e formare, 800 scuole nel breve giro di un anno scolastico? Perché, come riporta la direttiva ministeriale, il quadro di riferimento della ‘Buona Scuola’ (per usare una locuzione abusata di questi tempi), deve compilarlo l’Invalsi e non il Ministro, che invece si limita ad enucleare nella prima parte della direttiva, solo obiettivi generici e neppure presidiati da alcun benchmarking?

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Alessandro Giuliani

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