Attualità

Valutazione scuola primaria, secondo il Governo voti e giudizi sintetici sarebbero strumenti “oggettivi”, peccato che già un secolo fa questa “tesi” sia stata smentita

Alla fine tanto tuonò che piovve: dopo che per mesi diversi esponenti della maggioranza ha continuato a ribadire la necessità di tornare al voto anche nella scuola primaria una settimana fa abbiamo saputo ufficialmente cosa davvero intende fare il Governo sulla questione della valutazione.
La decisione la conosciamo: vengono abrogate le disposizioni che portarono alla emanazione della OM 172/2020 con cui si introducevano i “giudizi descrittivi” e si reintroducono i giudizi sintetici.

Il ministro Valditara ha espresso chiaramente il suo pensiero: “Basta con le definizioni incomprensibili tipo ‘avanzato’, ‘intermedio’, ‘base’, ‘in via di prima acquisizione’. Al di là del giudizio analitico, vogliamo che alle elementari le valutazioni siano chiare, semplici: ottimo, buono, discreto, sufficiente, insufficiente, gravemente insufficiente”.

Nel mese di novembre la sottosegretaria Frassinetti, nel corso di un convegno organizzato da Fratelli d’Italia e svoltosi presso la Camera dei Deputati era stata altrettanto chiara e aveva detto che bisogna tornare ai voti perché la valutazione deve essere oggettiva e non deve dare luogo a equivoci.

Chiunque abbia letto anche solo due capitoli di un qualunque libro sulla valutazione scolastica sa benissimo che la differenza fra i giudizi di cui parla il Ministro e i voti che vorrebbe Frassinetti non c’è nessuna differenza: si tratta, in entrambi i casi di scale ordinali (al massimo cambiano i “livelli” che possono essere 10 si si usano i voti numerici e 4,5 o più se si usano i giudizi).
(Tra l’altro questo significa anche che né con i voti né con i giudizi si può “fare la media”, ma questa è un’altra storia).
Quanto poi alla presunta “oggettività” dei voti o dei giudizi sintetici, non si sa davvero a cosa ci si riferisca tenuto conto che da almeno un secolo i docimologi hanno dimostrato, dati alla mano, che in questo genere di strumenti non c’è assolutamente nulla di oggettivo.

Tornando alla soluzione che si sta prospettando per il prossimo anno, ciò che più lascia interdetti è che su questa faccenda i decisori politici non abbiano sentito la necessità di acquisire pareri e opinioni di chi di questi problemi di occupa per mestiere da decenni (pedagogisti, docimologi, insegnanti, psicologi dell’età evolutiva e dell’apprendimento).
Tutto questo fa tornare in mente quando nel 1897 nello Stato americano dell’Indiana venne presentato un disegno di legge con cui – per legge appunto – si stabiliva che il valore di pi greco dovesse essere uguale a 3,2.

Lascia insomma interdetti che la politica pretenda di “dettare legge” su questioni che sono squisitamente tecniche e scientifiche.
Senza considerare che tutte queste “incursioni” della politica nella pratica didattica delle scuole potrebbero essere tranquillamente evitate lasciando le scuole stesse libere di organizzarsi e di decidere metodi e strumenti di valutazione e mantenendo solamente l’obbligo di certificare a fine anno l’esito complessivo degli apprendimenti.
Tutto questo, ovviamente per la scuola del primo ciclo, o almeno per la primaria.

Reginaldo Palermo

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