La discussione nata su Tecnica della Scuola attorno alla Lettera Aperta alla ministra Azzolina promossa dal “Manifesto dei 500” in merito alla nuova valutazione nella scuola primaria solleva questioni interessanti che proponiamo di approfondire.
Un primo aspetto riguarda il rapporto tra valutazione, Indicazioni Nazionali, curricoli.
Se è vero – come evidenzia giustamente Cristina Marta nel suo articolo del 19/1 – che gli obiettivi sono definiti dalle Indicazioni Nazionali e la valutazione deve riferirsi ad essi, è altrettanto vero che, proprio in quanto “indicazioni” e non più “programmi”, la “forchetta” di interpretazione e di traduzione di esse nei curricoli di istituto è diventata talmente importante da consentire una grande differenziazione tra le scuole e i territori. Il nuovo sistema di valutazione rischia in questo senso, secondo noi, di andare a certificare ancora di più questa differenziazione. La forma nasconde spesso la sostanza e modelli diversi, con grafia e contenuti diversi, con voci diverse, alimentano la perdita del valore della scuola come istituzione dello Stato.
In effetti questo punto non può essere disgiunto dagli altri che solleviamo nella nostra Lettera.
Precisiamo innanzitutto che noi non sosteniamo che “gli obiettivi siano tutti generici”, ma che esiste una “tendenza” ad andare in questa direzione, per la quale portiamo l’esempio della storia. Più in generale, non si può non constatare come gli obiettivi di apprendimento e le conoscenze delle attuali Indicazioni Nazionali siano spesso di livello decisamente inferiore rispetto ai Programmi Nazionali dell’85. In questo senso solleviamo tre problemi: 1) la ricaduta sulla formazione, anche nei successivi gradi di scuola; 2) il possibile collegamento di questo abbassamento sui disturbi dell’apprendimento (tesi che comincia ad emergere anche da parte di alcuni specialisti); 3) la spinta che la genericità delle Indicazioni Nazionali esercita nel formulare obiettivi di scuola, e quindi nella scheda di valutazione, “al ribasso”.
Certo, alcune scuole possono anche giocare “al rialzo” (per fortuna!), ma è proprio questa differenziazione che poniamo come problema dal punto di vista costituzionale.
La posizione storica di “ritorno ai Programmi Nazionali” del Manifesto dei 500 corrisponde a questa preoccupazione che è nello stesso tempo sociale e istituzionale, ma anche di prospettiva culturale del Paese. Da questo punto di vista, a sedici anni dall’introduzione delle Indicazioni sarebbe secondo noi importante aprire una discussione: dove hanno portato la scuola italiana?
Da parte nostra avremmo molti elementi concreti da portare al dibattito.
La nostra Lettera non dice che il modello proposto “esclude a priori la ripetenza”, ma anche in questo caso parla di una possibile “tendenza”. Cristina Marta la esclude e noi ce ne rallegriamo, pur restando vigili. Resta in piedi l’altra questione: non potendo dire apertamente che un obiettivo non è raggiunto, si esercita un’ulteriore spinta all’abbassamento oppure si crea un inganno – diciamo un’ambiguità – con le famiglie e gli allievi, ambiguità che potrebbe addirittura aprire la porta a contenziosi dei quali la scuola non ha proprio bisogno (specie se il modello dovesse essere esteso alla scuola secondaria).
Nella nostra Lettera abbiamo chiamato “giudizio descrittivo finale” correlato alle “sotto-voci” ciò che invece l’Ordinanza chiama “giudizio descrittivo … correlato ai livelli di apprendimento”. Al di là della terminologia, ciò che solleviamo è il problema della “leggibilità” della nuova valutazione, problema connesso a quello del rischio di perdere il senso della globalità della valutazione a favore di una ipotetica precisione. Viene qui toccato un punto: nella valutazione, la ricerca eccessiva di oggettività rischia di allontanare dalla cultura e da una visione globale della formazione e dei risultati di essa.
Reginaldo Palermo scrive che la nostra contrarietà al nuovo modello rappresenta una voce minoritaria. Da parte nostra sentiamo dalle scuole, dagli insegnanti, giungere tante critiche alla nuova valutazione; in ogni caso vorremmo cogliere l’occasione per ringraziare Tecnica della Scuola per aver dato spontaneamente spazio al nostro punto di vista e chi è intervenuto per aver contribuito con le sue riflessioni: far parlare le minoranze e dialogare con esse è molto più significativo per la democrazia, ma anche per la pedagogia, del dare spazio solo al coro di consensi.
Per il gruppo organizzativo del Manifesto dei 500, Lorenzo Varaldo – Dirigente Scolastico IC Aleramo-Torino, già maestro elementare
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