Ed ora si inizia a parlare del Concorso per i docenti non abilitati con tre anni di servizio. Ai quali si sarebbero dovuti aggiungere per binario altro i docenti del Vecchio Ordinamento, attraverso un percorso riservato molto simile alle vecchie abilitazioni, che si risolverebbe nel complesso di 150 ore riconosciuto come come corso formativo), e per il quale vige la partecipazione secondo il dettato previsto per i permessi allo studio, al he peraltro il DS non può assolutamente porre favore negativo.
Il Decreto n. 377 art. 4 comma3, recita:
I docenti di ruolo potranno conseguire ulteriori abilitazioni frequentando apposite attività formative, che saranno organizzate dall’amministrazione scolastica, l’università e le istituzioni di alta formazione accademica e musicale (Afam). Lo prevede l’articolo 4, comma 3, dello schema di decreto legislativo 377, varato dal governo il 29 gennaio e attualmente al vaglio del parlamento per i pareri di rito. La scelta della locuzione «attività formative» in luogo di «corsi di specializzazione» e, soprattutto, la previsione di una necessaria collaborazione tra, «scuola, università e istituzioni dell’alta formazione artistica e musicale» inducono a ritenere che il conseguimento di altre abilitazioni dovrebbe risultare più agevole per i docenti già in ruolo.
La ratio del provvedimento, peraltro, non è quella di consentire ai docenti di acquisire altre frecce al proprio arco in vista della possibilità di ottenere una sistemazione migliore. Lo schema di decreto, infatti, non prevede il riconoscimento di ulteriori punteggi da far valere ai fini delle procedure di mobilità. La ratio, invece, è quella di consentire ai docenti «di integrare la loro preparazione al fine di poter svolgere insegnamenti anche in classi disciplinari affini o di modificare la propria classe di concorso di titolarità, sulla base delle norme e dei limiti previsti per la mobilità professionale». Oltre tutto, la nuova disciplina sul reclutamento non consente ai docenti di acquisire più abilitazioni in caso di superamento di più concorsi, dovendo optare in via preventiva per l’accesso a un solo percorso. E in ogni caso, il superamento del concorso non costituisce titolo abilitante, come invece avveniva in passato. E siccome l’unico modo per consentire il riassorbimento degli esuberi è quello della mobilità professionale, il legislatore è dovuto correre ai ripari prevedendo un apposito percorso formativo diretto a tale scopo. È solo tramite il conseguimento di ulteriori abilitazioni, infatti, che i docenti possono trovare nuova collocazione stabile.
La ricollocazione in altra classe di concorso da una parte consente all’erario di evitare di provvedere alla retribuzione di un docente di ruolo che, in quanto in esubero, di solito, viene utilizzato per un orario inferiore all’orario di cattedra. E dall’altra parte consente di evitare di indire concorsi per la cattedra sulla quale il docente di ruolo venga ricollocato in modo strutturale e definitivo. L’attuale disciplina sulla ricollocazione degli esuberi prevede in primo luogo la ricollocazione anche d’ufficio su cattedra o posto per il quale il docente interessato possieda l’abilitazione. E in assenza di tali titoli, la ricollocazione, provvisoria e per un anno, su cattedra di altra classe di concorso per la quale il docente in esubero possieda il titoli di studio di accesso.
Ad oggi le ultime novità in merito, dopo un lungo silenzio, sono presentate da una clausola che parrebbe il Decreto non comprendere, almeno nella sua stesura iniziale, o che forse ci è stata volutamente tenuta nascosta, pubblicata peraltro sul sito di Orizzonte Scuola e della Tecnica della Scuola, e cioè che a partecipare sarebbero soltanto coloro che hanno insegnato almeno un anno nella disciplina per la quale concorrono alla abilitazione: credo si rivolga in particolare a coloro che in qualità di soprannumerari, precedente la Riforma della Buona Scuola di Renzi, hanno potuto ricevere tale possibilità, in fase di Utilizzazione.
E GLI ALTRI? Coloro cioè ai quali tale possibilità non è stata data, anche se soprannumerari, per mancanza di posti utilizzabili nella provincia ove si è presentata domanda di utilizzazione? Ci siamo persi un pezzo, ci siamo persi qualcosa nel cammino?
I sindacati tacciono. IL MUR fa quello che vuole, e ancora una volta si partecipa passivi e attoniti alle scelte di un Ministero che della e sulla Scuola continua a fare confusione. O meglio ancora opera su scelte ben mirate che sottolineano il carattere della gestione della Cosa Pubblica che vuole che il Legislatore legiferi secondo convenienza di partito o personali: amici, compagni di merenda, mogli o parenti affini.
Ci hanno negato la partecipazione ad ogni forma abilitativa: i TFA, le SIS, i Concorsi sempre e solo per abilitati, e ciò perché siamo di ruolo, anche se in altre discipline, lontane talvolta dal percorso di studio che ha trovato precaria soddisfazione con la Laurea.
Cosa fare? A chi chiedere aiuto, o meglio farsi voce a chi voce non ha?
Ancora una volta ci si appoggia al vostro sito, sperosi che Qualcuno al Ministero magari capita di leggere.
Mi chiedo e ci chiediamo in tanti se e quanto ancora si deve attendere per una equità di politiche che davvero non soltanto comprendano i disagi, ne ascoltino gli umori, abbiano reale consapevolezza del mondo della scuola e non soltanto.
Dobbiamo attendere il riproporsi di una stagione della nostra storia italiana la cui punta di iceberg è data dall’immagine ripetuta talvolta sui canali delle varie reti televisive, cioè quella di Piazzale Loreto? Dobbiamo credere e tacitamente sperare ad una ulteriore periodo oscuro e violento della nostra storia, quella degli anni settanta.
Gli indizi sono molto forti se guardiamo attentamente a quanto sta avvenendo sulle nostre piazze, tutte rivolte al prossimo appuntamento politico che sono le elezioni del Parlamento, nelle sue due Camere. Abbiamo davvero smarrito il senso, l’etica, i valori, le radici che hanno scritto la nostra bellissima Carta Costituzionale?
Ricordo in fine, ma non ultimo, la sentenza del Consiglio di Stato in merito alle ore di Laboratorio soppresse dalla riforma Fioroni prima e Gelmini successivamente (ossia il DPR n. 87/2010, che riguarda gli istituti professionali, e il DPR 88/2010, riferente agli istituti tecnici), a cui si accompagnano le tre sentenze del Tar del Lazio (sentenza n. 3527/2013, sentenza n. 6438/2015, e sentenza n. 3019 del 8 marzo 2016), in ragione della mancanza dei criteri di riduzione, applicati anche alle classi dell’ordinamento previgente.,.
Sentenza che vuole il ripristino delle 40 ore di Laboratorio, superando in tal modo il conseguente impoverimento generale della formazione tecnica e tecnico pratica utile per formare le figure intermedie richieste dal mercato del lavoro (volute appunto dalle su indicate riforme), e non ultimo il rischio di estinzione, senza possibilità di un reintegro nel sistema scolastico degli ITP (Insegnanti Tecnico Pratici), andando così ad infoltire la già considerevole lista dei soprannumerari.
E magari una revisione della figura dell’Insegnante Tecnico Pratico, la quale, malgrado il diritto di voto in seno al Collegio dei Docenti, ed al Consiglio di Classe, si vede ancora posta ai margini della didattica poiché come uso spesso dire: “siamo ad uso e consumo di chi ci gestisce”, dando un messaggio errato ai fruitori del sapere e del conoscere, che vedono in tale soggetto semplicemente spesso una appendice di non valore anche ai fini della valutazione. E questo perché molti sono semplicemente dei diplomati, dimenticando che nel corso degli anni in servizio, con tante difficoltà, si sono posti al livello dei colleghi di teoria, raggiungendo qualifiche in specie attraverso la acquisizione della Laurea, e talvolta, e non pochi, in discipline che nulla avrebbero a che fare col loro lavoro quotidiano, e che malgrado ciò, per dedizione applicazione e dovere si sono operati al fine di offrire quelle competenze necessarie per affrontare il dopo della scuola. Un atto di umiltà nel silenzio e nel dispiacere della considerazione posta ad essi.
Ancora una volta frutto di una sottocultura che caratterizza la nostra società. Benché le righe si riempiono di paroloni e tali restano, sulla carta del Legislatore. Cosi come e rimasta sulla carta, sino ad oggi, la sentenza del Consiglio di Stato, e per precise scelte del MUR che si è da sempre dichiarato pronto a dare ragione delle stesse. Sappiamo che un Giudice è stato chiamato per capire cosa accade nel merito della questione in oggetto.
Intanto Il silenzio la fa da padrone.
Mario Santoro
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