I lettori ci scrivono

Vecchioni, il cellulare e l’insegnante assente per 20 anni

In questa ultima settimana di Giugno in cui si sta ancora respirando aria di scuola, due articoli mi hanno particolarmente colpita: il primo, lo splendido scritto di uno splendido Roberto Vecchioni, il secondo, la vicenda di quella donna di cui non voglio neppure scrivere il nome che ha saputo bigiare da scuola per circa vent’anni.

Dalle profonde parole pronunciate da Vecchioni ho respirato aria di sapere, di gioia, di amore per il bello, di gratitudine per la vita, di richiamo al cambiamento e alla voglia di lottare e di conoscere.

Dal resoconto delle vita di questa donna latitante ho tratto solo un senso di repulsione, di meschinità, di mancanza di dignità e di senso del dovere, un’ignoranza probabilmente tramandata, quindi innata, offensiva per tutta la categoria degli insegnanti.

Vecchioni ha richiamato tutti, ma soprattutto i giovani all’uso della parola; della parola parlata, sussurrata, della parola dolce e di quella triste della parola diretta e ripetuta a gran voce, urlata!!!

È quello che oggi non si fa più: parlare.

I figli parlano con i genitori solo per chiedere l’indispensabile e se pongono domande ai figli, questi rispondono a monosillabi o con parole vaghe; così i genitori faticano a parlare e desistono.

I fratelli non parlano tra di loro, gli innamorati parlano con segni scritti, i piccoli ancora nel passeggino comunicano con il cellulare e i nonni non sono neppure calcolati.

Tristemente ho notato che anche le neo mamme non parlano molto con i loro pargoli, ne vedo poche avvicinarsi alla carrozzina o al passeggino del figlio e interagire con lui, questo perché c’è un terzo soggetto tra di loro: il cellulare.

Scrive bene Vecchioni “Le sfumature, le intercapedini che esistono tra una parola e l’altra, il prisma di colori che esse contengono sono decisive per l’ intendimento dell’anima”.

È vero, quante volte una parola lasciata libera dalla punteggiatura contenuta in una frase inviata con il cellulare è stata fraintesa, ha creato attriti e scompiglio?

Quante volte le frasi riportate nelle chat di gruppo hanno alimentato litigi clamorosi e “abbandoni” strazianti?

La PAROLA, strumento di lavoro indispensabile per un’insegnante di Italiano e di Filosofia non è stata mai usata dalla nostra fantomatica insegnante che è stata “destituita alla Cassazione per incapacità didattica e inettitudine permanente e assoluta all’insegnamento”.

Quante parole false ha dovuto dire per sostenere i suoi castelli di bugie?

Quante persone ha dovuto ingannare?

Se avesse avuto delle gravi patologie come qualcuno ha asserito, avrebbe dovuto ritirarsi dall’insegnamento.

Ma se è vero ciò che riportano i giornali, la signora ha avuto tempo e capacità per diplomarsi in pianoforte, in criminologia e in parassitologia del territorio.

La cosa che ancora mi indigna e il sapere che nessuno ha fatto niente per fermare questo soggetto: il medico? il preside? i ragazzi che assistevano alle sue esibizioni in classe?

Non nascondiamoci dietro un dito: la scuola è fatta principalmente di insegnanti che lavorano bene, ogni giorno, oltre il proprio orario e più ancora, gente che sgobba e profonde parole in gran quantità, ma troviamo anche chi lavora molto meno e chi per niente.

Questi ultimi si avvalgono del cosiddetto “aiutino” da parte di colleghi che passano loro i compiti.

Sono coloro che in Brianza chiamiamo “rcena de veder” (schiena di vetro).

Ringrazio Vecchioni perché senza musica, solo con le parole, ha creato una bella canzone.

Mirella Rigamonti

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