Roberto Vecchioni, cantautore e professore di latino e greco, sembra avere le idee chiare sul destino della cultura classica, proponendo un nuovo modo di ripensare le cosiddette “lingue morte” e trasmetterlo alle nuove generazioni.
Infatti, su La Stampa Tuttolibri, il “professore”, commenta il nuovo libro di Maurizio Bettini dal titolo “A che servono i greci e i romani?”, focalizzandosi proprio sugli aspetti che dovrebbero essere irrinunciabili per le società moderne.
“Bettini rimarca che la mentalità culturale in Italia, scrive Vecchioni, è malata subliminalmente di paneconomia, e che il valore di qualsiasi bene è ragguagliato alla sua potenzialità economica: volenti o nolenti noi definiamo i nostri beni culturali con termini come «petrolio», «giacimenti», «prodotti», «offerte», «spendibilità», quasi che tutto fosse da consumare, da guadagnarci su. Questo circuito va interrotto e subito. Quando parliamo di classicità non possiamo usare il passato. Il mondo greco come quello romano sono in noi come ultimo anello di una catena che non può avere punti di rottura perchè non ci sarebbe Dante senza Virgilio, né Shakespeare senza Eschilo o Seneca e tantomeno Einstein senza Pitagora: noi ci portiamo addosso la classicità come una seconda cultura sovrapposta e mai soppiantata da quella cristiano–popolare (sintomatica la preghiera di Dante ad Apollo nel Paradiso), noi navighiamo in una «tradizione» (trado = consegno) che impregna il nostro quotidiano, dove i monumenti (moneo = faccio ricordare) non sono inerzia petrale, dove i musei non sono «collecta» di dimenticanze, ma punte di iceberg immenso, che non si scioglie mai”.
Vecchioni, seguendo il ragionamento di Bettini, si chiede: “ma come insegnarli questo greco, questo latino? Perché il punto è questo, non si può continuare con iniezioni di lingua, sintassi e passi oscuri, dividere la letteratura in generi (!), mischiare Cicerone con Plauto”.
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Il cantautore accompagna quindi l’idea di Bettini, ovvero per insegnare greco e latino oggi si può attingere da allestimenti teatrali, ricerche sul latino nel cinema, nelle letterature, ecc..
“Ma la cosa di gran lunga più importante, scrive ancora Vecchioni, è che gli studenti si formino un sistema, una «Gestalt» del mondo antico in toto, senza spezzettarlo in particolari disuniti e frammentari studiando l’ipotetica di terzo tipo come una cosa a sé, Silla, Augusto, Costantino come capitati per caso, la metrica come un di più fuori dal mondo, quando il ritmo invece è essenziale al «mélos» da sempre, e il giambo altro non è che rock, l’esametro valzer (altra aphormé). Sono il tempo, la scena, le temperie che si devono far respirare ai ragazzi, perché questo, non altro è cultura. Splendido, a proposito, l’esempio di Niels Bohr che in visita al castello di Kronborg traduce in verità sensibili e affettive la «fiction» di Shakespeare, e nella sua mente, nel suo cuore Amleto ed Ofelia lasciano spazio a quella corte che ora è un intero mondo”.
“Vedere la vita dove altri passano oltre sbadigliando, conclude Vecchioni, sentire uomini e cose parenti nell’immortalità della storia, respirare in «toto» la bellezza di una vicenda che è stata e sarà. Ecco la lezione di Bettini”.
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