Disabilità

Venticinque anni di autonomia. Cos’è cambiato per l’inclusione scolastica?

Esattamente 25 anni fa, l’8 marzo 1999, un evento legislativo “periodizzante”, ossia il DPR 275/99, “rivoluzionava” la scuola italiana.

In particolare, all’articolo 4, comma 2, il Decreto 275/99 demanda alle scuole l’autonomia didattica e all’articolo 5, comma 1, l’autonomia organizzativa.

Il Decreto 275, meglio noto come Regolamento dell’autonomia, dunque, costituisce il nuovo “Statuto” della scuola italiana, che ogni istituzione scolastica deve adeguatamente sfruttare, per garantire a ciascun alunno ampi spazi di autonomia e di flessibilità.

Conseguenza diretta dell’autonomia scolastica è il Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF, come da articolo 3 del DPR 275/99 e come “ribattezzato” dall’art 1 comma 14 della Legge 107/15). Esso è il documento costitutivo della identità culturale e progettuale di ogni istituzione scolastica, che ne esplicita le scelte in materia di progettazione curricolare, extracurricolare, organizzativa e didattica.

La flessibilità organizzativa e didattica, entrata quindi a pieno titolo e regime nel nostro Sistema d’istruzione grazie al DPR 275/99 ed in seguito rafforzata ulteriormente dalla predetta Legge 107/15, è, per così dire, la caratteristica “essenziale” della scuola dell’autonomia. Essa, pertanto, potrebbe e dovrebbe essere il principale strumento a supporto del processo di inclusione degli alunni con disabilità, in quanto è il mezzo indispensabile per adattare il curricolo alle necessità formative dell’allievo, rendendo possibili articolazioni organizzative diverse, nell’ottica di una personalizzazione e specializzazione della didattica.

Se utilizzata in tal senso, infatti, l’autonomia scolastica diventa senz’altro una “leva cruciale” per sviluppare processi inclusivi di insegnamento-apprendimento e per fornire risposte adeguate a tutti e ciascuno.

E purtuttavia e nonostante il recente Decreto Legislativo 66/17 sull’inclusione, di cui attendiamo ancora diverse norme applicative, questa nuova prospettiva “inclusiva” della scuola italiana stenta a decollare e, cosa ancor più grave, il più delle volte non è percepita adeguatamente nemmeno dai genitori dei nostri ragazzi, i quali continuano ad insistere colpevolmente solo sulla presenza del docente di sostegno e non sul “sostegno del contesto”. Ciò denota come il messaggio della “normale” didattica inclusiva sia solo “in nuce” nella scuola italiana e che la scommessa dell’autonomia sia ancora tutta da vincere.

In altre parole, voglio dire che la nomina dell’insegnante di sostegno con un numero adeguato di ore, pur rappresentando un sacrosanto diritto assolutamente esigibile dai nostri ragazzi e dalle loro famiglie, da sola e senza un “sostegno diffuso” garantito al contrario da ambienti veramente “autonomi e flessibili, rischia di essere quasi inutile e di ripetere i “vizi capitali” del nostro attuale sistema di istruzione rappresentati dalla “deresponsabilizzazione” dei docenti curricolari nei confronti degli alunni con disabilità e della conseguente e scontata delega da parte loro del processo d’inclusione al solo collega per il sostegno.

Soltanto se l’imminente adozione dei Decreti attuativi del D.Lgs 66/17, preannunciata dal Governo in carica, promuoverà l’organizzazione di siffatti contesti accoglienti e inclusivi– dove tra l’altro il PAI (Piano Annuale per l’Inclusione) non sia un documento esclusivamente “sulla carta”, ma al contrario sia parte integrante della progettazione, della didattica e della valutazione delle Istituzioni Scolastiche, e dunque anche dei loro Piani Triennali dell’Offerta Formativa, si potranno realisticamente garantire per ogni allievo, anche con disabilità, quelle condizioni di pari opportunità nel raggiungimento del massimo possibile dei traguardi individualizzati e personalizzati d’istruzione, tanto decantate dalla recente normativa italiana sull’autonomia scolastica.

Gianluca Rapisarda

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