Un altro anno scolastico difficile, si diceva, con un esame di maturità che, giusto chiederselo, fatto così non si capisce se abbia più ragion d’essere, visto che la commissione è composta dai docenti interni, col solo presidente esterno, e con l’elaborato assegnato dagli stessi docenti di classe. Per cui la verifica finale di un percorso di studio è diventata, nella sostanza, quasi una formalità, se non fosse per il valore simbolico, per il carico d’ansia che comunque comporta, e per la considerazione che, con l’esame finale, si ottiene il lasciapassare per una nuova fase della vita, quella in prima battuta più libera, creativa, legata alla libertà di scelta, soprattutto, invece, carica di responsabilità personale.
Sia per coloro che sceglieranno un percorso universitario o post-diploma, sia per chi affronterà da subito il mondo del lavoro. Per qualificare questo esame di maturità, oggi burocraticamente chiamato “esame di Stato”, negli anni si è preferito limitarsi al concetto di “rito di passaggio”, quindi a favore di una notazione più psico-sociale che altro, lasciando sullo sfondo la sostanza di questo lasciapassare. Insomma, si è lasciato ai margini il richiamo, nella società invece sempre più forte, alla preparazione di base, fatta di passione, di dedizione, di fatica, di conoscenza che si fa capacità ed attitudine.
La psicologizzazione ha cioè preso il posto della considerazione sulla sostanza della maturazione culturale, al di là degli inevitabili risvolti individuali. Non è, con questo, che si voglia invocare il vecchio esame di maturità, prima del 1969, quando “si portavano”, come ricordano gli studenti di allora, tutte le materie del triennio. Con le conseguenze del caso.
No. Il tema, invece, va ricondotto al ruolo che formazione ha e deve avere nell’attuale discussione sulla “ripartenza”. Non ci può essere cioè vera ripartenza senza il richiamo al fondamento della conoscenza, la quale è fatica, spirito della ricerca, passione, dedizione. Con la didattica a distanza abbiamo compreso che non c’è vera conoscenza senza relazione. Ma la relazione deve, appunto, mirare al cammino culturale, oltre che sociale.
Dicendo questo si richiama alla responsabilità del sistema scuola, la quale è sempre e prima di tutto personale. Responsabilità che è comunque contraria a qualsiasi forma di assistenzialismo istituzionale. Se l’esame di maturità ha un senso, in poche parole, o è davvero una certificazione finale di un percorso, oppure meglio abolirlo. Al di là dell’aspetto formale del valore legale del titolo di studio, rilievo oggi obsoleto. Ed una certificazione non si può ridurre ad una sola prova orale, ma deve prevedere anche gli scritti, perché diverse solo le abilità e competenze richieste negli scritti e nell’orale.
L’assistenzialismo istituzionale, cioè il promuovere tutti, come di fatto è oggi, poi finisce, in concreto, per sfavorire i meno abbienti, abolendo o limitando ogni ascensore sociale. Cioè ogni dinamica sociale. Si parla giustamente di “ripartenza” per qualificare i vari settori della nostra crisi pandemica: salute, burocrazia, giustizia, economia. Manca però una riflessione sulla ripartenza culturale, che dovrebbe essere il cuore della scuola e dell’Università. Che è il cuore della scuola e dell’Università.
Per la prima volta la pandemia ha costretto scuola ed università ad occuparsi anche del privato dei nostri studenti, per gli aspetti tecnologici, per la connessione in casa, per i rischi di solitudine, per le diverse fragilità, per la vita di famiglia, visto l’incrocio con lo smart working. Ma la scuola e l’università sanno che la loro finalità rimane sempre lo spirito di ricerca, con una buona preparazione di base, con spinte innovative che rischiano di confondere, per l’uso delle tecnologie, tra mezzi e fini, tra reale e virtuale.
In un contesto generale, poi, segnato da incertezza e disorientamento, i nostri giovani in gamba una cosa la stanno imparando, annusando il contesto globale, e sentendo i loro compagni con qualche anno in più: sono più informati, più aperti ai contesti internazionali, più mobili, certamente più digitali, ma anche più fragili. Per il venir meno di diversi punti fermi psicosociali più che economici.
Come dare realmente una mano in questa situazione? Con la formazione come autoformazione come àncora di salvataggio, ma formazione che non può essere un semplice lasciapassare automatico, come è oggi l’esame di maturità, ma conquista, anche sofferenza, anche passione, soprattutto spinta ed entusiasmo. Cioè motivazione, vita che si autoalimenta dal pensiero che si fa vita, dalle passioni e dedizioni che si fanno scelte di pensiero positivo. Se un esame ci deve essere, che sia serio.
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