La scuola italiana, in linea con le indicazioni che provengono dalle più autorevoli fonti scientifiche, è una delle poche realtà, in Europa, in cui si è privilegiata l’inclusione, soprattutto nel caso della disabilità, quale prospettiva più avanzata per offrire un’ adeguata offerta formativa e la crescita sociale della persona.
Nonostante questa scelta coraggiosa, che dovrebbe essere il fiore all’occhiello del sistema d’istruzione del nostro paese, dobbiamo constatare, purtroppo, che i Governi che si sono succeduti, fino all’attuale, non si sono dimostrati all’altezza di questo progetto, sebbene assuma una centralità imprescindibile per sviluppare un modello di società che sappia far propria la diversità, accoglierla come valore e gestirla nel rispetto e nella considerazione di tutti i cittadini che la compongono.
I continui tagli, infatti, e le innovazioni supportate da investimenti fasulli, ispirate fondamentalmente dal principio di economicità, impongono una riflessione importante, su quello che dovrebbe essere l’impegno verso il mondo della disabilità da parte dello Stato e su ciò che rimane disatteso nella prassi: inadeguato e insoddisfacente, infatti, risulta l’impegno volto a realizzare quella giustizia sociale stabilita dall’articolo 3 della Costituzione, attraverso cui lo Stato stesso dovrebbe assicurare l’abbattimento degli ostacoli necessario a rendere concreta l’uguaglianza dei cittadini.
Ciò a cui assistiamo, sono infatti continui interventi che stanno progressivamente depauperando il sistema, togliendo quegli strumenti e quelle risorse, non solamente economiche, che erano stati opportunamente previsti in passato, e che invece finiscono per accollare i costi, i disagi e i problemi, alle famiglie che vivono ogni giorno questa condizione.
Anche ne “La buona scuola” del Governo Renzi, non possiamo che constatare continuità a questo negativo andamento, rilevando mancata progettualità e sensibilità verso un aggiornamento del sistema scolastico che dovrebbe tradursi con la necessità di figure professionali specializzate , ma anche definendo una risposta adeguata agli studenti con disabilità e che invece vedono, di anno in anno, la riduzione dei dispositivi previsti, anche dalla normativa specifica, necessari ad attuare il proposito di inclusione, che la nostra società si è data, almeno in teoria.
In linea con questa disattenzione, ci sembra che il problema sia destinato ulteriormente ad aggravarsi, non soltanto a seguito dei tagli, quanto per la mancanza strutturale, oggi, di quelle figure professionali adeguate, di cui sopra, rappresentate dagli insegnanti di sostegno.
Ogni anno le scuole, quindi il MIUR, assumono, per coprire i posti vacanti di insegnante di sostegno, personale precario anche dalle graduatorie d’istituto, che il Governo, lo ricordiamo, considera composte da docenti il cui servizio non è rilevante sul piano educativo e formativo( in particolare, anche dalla III fascia, composta da docenti definiti “non abilitati”, nonché non specializzati).
I docenti che si sono fatti carico di questa responsabilità, tuttavia, e che hanno svolto con dovizia e passione il loro lavoro, e che hanno persino trovato una motivazione ulteriore per svolgere la propria professione, non sono stati solamente “usati”, ma vengono continuamente dequalificati, perché l’esperienza acquisita sul campo, la professionalità, le capacità, la ricerca, l’auto formazione, elementi tutti indispensabili a svolgere questo delicato compito, non servono a nulla sul piano professionale, e le istituzioni non sono neanche in grado, con uno sforzo di lungimiranza e di valorizzazione delle risorse umane disponibili, di prevedere un giusto riconoscimento per quanti hanno svolto il proprio servizio con questa specifica funzione.
Solamente da due anni sono ripartiti i corsi di specializzazione in sostegno, alcuni riservati alla riconversione di personale in esubero. Ma questi corsi, a numero chiuso, travisano, come in generale succede già con i corsi dei laurea e i Tfa, il principio che la formazione è un innanzi tutto un diritto, indipendentemente dalla “necessità” in termini di copertura dei posti.
Dovrebbe, quindi, non solamente essere aperta a tutti, soprattutto in ragione del progetto socio-educativo che mira all’inclusione, dal momento che anche gli insegnanti curricolari sono stati chiamati dal ruolo attivo nella gestione dei Bisogni educativi speciali, ma dovrebbe poter essere accessibile anche dal punto divista del costo.
Invece, caratterizzati dalla solita inadeguata formula del triplice test (preselettivo e selettivo), incapace di mettere in luce elementi indispensabili a definire un buon insegnante, quale attitudine, motivazione, passione, empatia, saranno, per i docenti che hanno svolto il loro servizio come docenti di sostegno, l’ennesima occasione per disconoscere la professionalità acquisita nel lavoro.
Non bastano, in Italia, normative e sentenze per affermare anche il semplice “buon senso”, quello che dovrebbe suggerire all’amministrazione di prevedere, per quanti hanno ricoperto per anni incarichi di sostegno, dei corsi accessibili non a numero chiuso, allo scopo di definire, da un punto di vista formale, la professionalità definita dai contratti che l’amministrazione stessa ha sottoscritto con i propri dipendenti.
Eppure, dei precedenti ci sono: quelli che hanno portato il MIUR a istituire i PAS, per i quali, sebbene, con nuove disparità rispetto ai corsi analoghi, il requisito di accesso è stato proprio il servizio.
In occasione del confronto che si è aperto sull’opportunità di istituire nuovi PAS per le materie curricolari, quindi, l’associazione Adida intende sollecitare un confronto anche sulla possibilità di avviare, parallelamente ai corsi di specializzazione ordinari, corsi di specializzazione in sostegno per quanti hanno svolto questa professione a pieno titolo, non fosse altro per questo paradosso, tutto italiano, di “utilizzare”, da precario, personale che magari un test a crocette non ritiene idoneo ad accedere ad un semplice corso di formazione.
Riteniamo che molto debba essere fatto per migliorare il sistema di formazione e di reclutamento, in questo Paese. Suggeriamo di cominciare da un approccio razionale e pratico della materia, senza lasciare che siano i contenziosi, ormai in numero esponenziale, a definire questa delicata materia.