Dalla nostra corrispondente a Roma
Vertice a palazzo Chigi oggi tra il presidente del Consiglio, Mario Draghi, il commissario straordinario per l’emergenza Covid, Francesco Figliuolo e il capo della Protezione Civile, Fabrizio Curcio.
Tema del giorno il punto sul piano di vaccinazioni, anche alla luce della disomogeneità nella somministrazione delle dosi nelle varie Regioni.
Obiettivo quello di velocizzare la campagna vaccinale, nella direzione di 500mila inoculazioni al giorno. In attesa del siero di Johnson & Johnson (il via libera dell’Ema è atteso per la seconda metà di aprile, dopodiché in Italia giungerà prima una quantità limitata di dosi che andrà aumentando tra maggio e giugno) e di raggiungere l’obiettivo di 500mila vaccinazioni al giorno, si tenta risalita con l’arrivo di oltre 333mila dosi di Moderna e i nuovi stock di Pfizer previsti, mentre mercoledì prossimo ne arriveranno altre 279mila da AstraZeneca.
Dopo una settimana in stand-by, caratterizzata prima dalla sospensione temporanea della somministrazione di AstraZeneca, e poi dal via libera dell’agenzia europea del farmaco, si delinea uno scenario sostanzialmente analogo: la soglia di dosi in Italia non potrà andare oltre le 200mila al giorno, poiché mancano i vaccini.
A complicare i programmi è stato proprio il siero prodotto dall’azienda farmaceutica anglo-svedese. L’arrivo di 134 mila fiale che era previsto per giovedì scorso, 18 marzo, è stato annullato per motivi logistici a causa della sospensione precauzionale delle somministrazioni scattata lunedì 15 marzo. Quel carico arriverà in Italia il 24 marzo, e si sommerà alle 145mila dosi già previste per quel giorno. Nell’attesa di mercoledì, bisognerà ricorrere agli altri due sieri, altrimenti si rischia di rallentare ulteriormente la campagna vaccinale.
All’appello mancherebbero – secondo liste delle previsioni del primo trimestre – almeno 4 milioni di dosi, pur prevedendo l’arrivo di altre due milioni entro il prossimo 3 aprile.
Il problema delle vaccinazioni è strettamente legato anche ad una questione molto dibattuta, cioè quella dell’alta contagiosità che si avrebbe nelle scuole, attualmente chiuse. Secondo, però, uno studio condotto su 7,3 milioni di studenti lo stare in classe non condizionerebbe la curva dei contagi.
Incrociando le cifre del Ministero dell’Istruzione, di aziende sanitarie e di Protezione civile emerge che il tasso di positività tra i ragazzi è inferiore all’1% dei tamponi.
“Il rischio zero non esiste ma sulla base dei dati raccolti possiamo affermare che la scuola è uno dei luoghi più sicuri rispetto alle possibilità di contagio” spiegano gli epidemiologi al termine dell’analisi fra dati del Miur, Ats e Protezione civile su un campione iniziale pari al 97% delle scuole italiane: più di 7,3 milioni di studenti e 770mila insegnanti” spiega Sara Gandini, epidemiologa di fama internazionale e biostatista presso l’Istituto europeo di oncologia di Milano.
Secondo lo studio condotto, l’apporto degli studenti nella trasmissione del coronavirus è marginale: contagerebbero il 50% in meno rispetto agli adulti, veri responsabili della crescita sproporzionata della curva pandemica. E questo si conferma anche con la variante inglese.
Anche l’ex ministro dell’istruzione, Lucia Azzolina, con un post su Facebook commenta i dati di questa: “mastodontica ricerca che, numeri alla mano, ‘scagiona’ la scuola rispetto all’impennata di contagi di ottobre e novembre e conferma quanto abbiamo sostenuto per mesi: la scuola non è a rischio zero ma resta uno dei luoghi più sicuri”.
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