
Ancora una storia di vessazioni nei confronti di ragazzine. Una giovane di Roma, che ora ha vent’anni, è stata oggetto di violenze e insulti da parte della sua “matrigna“, la nuova compagna del padre, dopo la morte della madre. Lo riporta Il Messaggero.
La ragazza, fin da quando aveva nove anni, è stata costretta a vivere isolata dai suoi coetanei, se non nelle ore di scuola, a fare le faccende di casa, ad essere controllata in ogni suo spostamento, a chiamare “mamma” una donna che non lo era.
La donna è accusata di maltrattamenti aggravati
La “matrigna” è ora a processo con l’accusa di maltrattamenti aggravati perché commessi in danno della ragazza all’epoca minorenne. Se la ragazza non puliva bene casa veniva insultata e picchiata: “Sei mediocre, non vali niente”. Lo stesso accadeva se prendeva un sei a scuola o se tornava a casa in ritardo anche solo di cinque minuti o non rispondeva subito al telefono.
Non poteva prendersi cura di sé e neanche decidere che vestiti indossare. Una situazione che è degenerata quando, prendendole il telefono, l’imputata si era accorta che la giovane aveva un fidanzato, suo compagno di classe. L’aveva costretta a lasciarlo. Poi, dopo il Covid, i due erano tornati insieme, di nascosto. Ma poi lo aveva scoperto e aveva reagito male, sottraendole il cellulare e colpendola “con uno schiaffo all’altezza del braccio e pizzicandole violentemente il braccio provocandole un vistoso livido, poi la strattonava e le diceva: ‘Sei una brutta schifosa'”.
La denuncia dopo aver compiuto diciotto anni
Per impedirle di vedere il fidanzato l’imputata aveva deciso di trasferirla in un altro istituto. “Dopo che la compagna del padre ha scoperto che ancora stava con il fidanzato le ha tolto il telefono e le ha cambiato scuola, parlavamo con un cellulare che lui le aveva fatto avere di nascosto. I professori le avevano suggerito di chiamare il telefono azzurro”, ha detto un’amica.
Ma la ragazza ha aspettato di avere diciotto anni per fuggire e denunciare. Le vessazioni però, a quanto ha raccontato, non sono terminate con la sua “fuga”. Non solo l’imputata e il padre non le avrebbero mai fatto avere indietro i suoi effetti personali ma quest’ultimo non avrebbe più voluto sentirla, nonostante lei abbia provato più volte a contattarlo.